LA NOSTRA STORIA
LA NOSTRA MISSIONE, IL NOSTRO METODO DI LAVORO
Voci di dentro è una Associazione di volontariato (OdV). Si è costituita il 26 novembre 2008 ad opera di 16 soci fondatori, tra i quali Francesco Vitullo e Silvia Civitarese (che fa parte dell’attuale Direttivo), che da alcuni anni operavano con la Caritas Diocesana all’interno del carcere di Chieti. La storia dell’Associazione inizia con l’organizzazione e la direzione del giornalino del carcere al quale viene dato il nome Voci di dentro, che sarà anche il nome dell’associazione. Alcuni dei nostri primi numeri sono stati digitalizzati e sono visibili all’interno del sito.
È una storia che prende un percorso nuovo e “più professionale” con l’impegno di Francesco Lo Piccolo, all’epoca giornalista de Il Messaggero di Chieti. La scrittura e la realizzazione del giornale è intesa come presa di coscienza del sé, momento per raccontare e raccontarsi, ma anche per guardare fuori dal carcere e
osservare la realtà esterna, la società, la politica. Gli articoli delle persone detenute sono scuola per tutti. Fin da subito i volontari, che entrano in carcere grazie alla Legge sull’Ordinamento penitenziario del 1975 e in particolare all’articolo 17 (che prevede la possibilità che soggetti esterni all’istituto di pena partecipino all’azione rieducativa finalizzata a reinserire il reo nel tessuto sociale) si accorgono che il lavoro della redazione ha bisogno di essere “liberato dal controllo diretto” della direzione del carcere, che giornalismo è soprattutto libertà di pensiero. È così che il giornalino del carcere, che aveva in gerenza come direttore editoriale il direttore dell’Istituto, viene portato fuori dal carcere e registrato presso il Tribunale di Chieti come testata giornalistica con un direttore responsabile giornalista professionista.
L’operazione avviene in contemporanea alla costituzione dell’Associazione che diventa proprietaria della testata. Non solo: l’Associazione fin da subito comprende che il lavoro svolto dai volontari dentro il carcere deve diventare un lavoro a 360 gradi. Dalla consapevolezza del focus dell’attività nasce la missione di Voci di dentro.
LA NOSTRA MISSION
Il nostro lavoro è dare nuove chance a chi di chance ne ha avute poche, aprire porte e abbattere muri, diffondere valori di giustizia e rispetto dei diritti, mettere semi per un mondo migliore dove alla base di tutto c’è l’uguaglianza sociale ed economica delle persone. Quindi un lavoro anche e soprattutto fuori dal carcere con tante e diverse attività dedicate alla diffusione del diritto penale minimo, alla eliminazione di un sistema penale fondato sulla punizione senza fine, alla promozione dell’uso delle pene alternative, al reinserimento e all’aiuto delle persone in stato di disagio, con particolare attenzione a chi si trova, o si è trovato nel passato, in detenzione.
IL NOSTRO MOTTO
Portare dentro quello che è fuori e fuori quello che è dentro.
SEMPRE OLTRE
Perseguendo questo impegno, l’Associazione Voci di dentro ha allargato il suo sguardo e le sue attività. Oltre al carcere di Chieti, i volontari di Chieti hanno esteso la loro presenza negli Istituti di Vasto, Lanciano e Pescara, dove hanno riproposto la formula del laboratorio di scrittura nello stile che caratterizza l’Associazione: approccio dialogante, orizzontalità, dialettica e analisi sui temi trattati, dall’attualità ai diritti, alla cittadinanza, al carcere stesso, supportando i detenuti nel recupero di una capacità espressiva dei propri sentimenti e della propria condizione di privazione della libertà personale e di reclusione.
COSA PENSIAMO
Alla base del nostro operato in carcere ci sono idee e riflessioni:
Pensiamo che:
- la pena del carcere e lo stesso innalzamento delle pene non sono un deterrente
- in carcere, in molti casi, si perfezionano comportamenti e capacità devianti
- i danni sociali e culturali delle istituzioni totali sono maggiori dei benefici
- la pena non è non può essere retributiva (mai ci sarà pareggio tra un male con un altro male)
- il carcere non rieduca visto che 7 detenuti su 10 ritornano in carcere (tasso di recidiva).
SECONDO NOI…
Come associazione, che è cresciuta nella frequentazione diretta del carcere, e si è rafforzata con studi e approfondimenti su società e devianza, abbiamo potuto maturare queste precise idee su:
CHI SONO I DETENUTI
Chi commette un reato vede l’altro come ostacolo, non come persona. I detenuti sono persone che - all’interno di un sistema sociale economico-finanziario che
vede al primo posto l’utilitarismo, il profitto, il consumo, l’uso, il dominio - hanno ferito il prossimo, approfittandosi di persone più deboli, usando violenza e sopraffazione, pensando unicamente a soddisfare i loro interessi, vedendo l’altro come ostacolo e non come persona; I detenuti sono individui e-marginati e marginali. Molti tra loro non hanno avuto chance. Altri scientemente (chi più e chi meno) hanno compiuto scelte sbagliate, altri ancora o non sono stati capaci di vedere scelte diverse, o non avevano che una sola scelta, oppure sono finiti nel circuito penale a causa dell’errore di un momento. Tutte queste sono persone che hanno fatto soffrire altri, e che a loro volta soffrono: disuguali in un mondo a sua volta ingiusto, governato oggi più di ieri da fanatismi e populismi; deumanizzati e deumanizzanti.
COS’È IL CARCERE
I detenuti all’interno del carcere diventano vittime di una istituzione totale che nei fatti e a dispetto dei tanti propositi (art. 27 della Costituzione) li spoglia dei loro diritti, applicando sistemi infantilizzanti, deresponsabilizzandoli e rinchiudendoli tutti assieme: piccoli ladruncoli alle prime armi, mafiosi e camorristi, poveri e ricchi, stranieri, giovani e vecchi, malati e sani, dipendenti da sostanze, alcool, gioco, colletti bianchi, eccetera. Tutti chiusi in sezioni e celle molto spesso per 16 ore al giorno, i detenuti (specialmente quelli con una lunga storia di carcere alle spalle), pur essendo vittime dell’istituzione e pur solidali fra loro (se e quando serve), spesso ripropongono le stesse dinamiche sociali (discriminazione, sopraffazione, violenza) che “governavano” la loro vita prima di finire in carcere.
COM’È LA VITA IN CARCERE
I detenuti sono contenuti in luoghi angusti dove rieducazione e attività risocializzanti sono solo “parole”, e ciò come conseguenza di un sistema di organizzazione –
burocratizzazione che privilegia innanzitutto la sicurezza, il contenimento, la punizione fine a se stessa. Non a caso in media negli istituti penitenziari italiani ci sono un agente ogni due detenuti, mentre c’è un solo educatore ogni 60-80 detenuti.
NON GIUDICHIAMO. PORTIAMO CULTURA
I detenuti (ma il discorso vale un po’ per tutti in questa società moderna dell’apparire, dell’avere, del consumo) sono soggetti fragili, emotivamente e psicologicamente. In carcere, per tutta una serie di cause, dall’isolamento fisico e sociale, alla prospettiva mentale ridotta (esattamente come la loro vista, che si ferma a pochi metri dagli occhi), alla povertà nei rapporti interpersonali (per anni si relazionano solo tra loro e solo con persone che danno loro “ordini”, dunque all’interno di uno spazio dove la disparità di potere è regola), per tutte queste cause l’incontro-relazione col mondo esterno -anche con volontari e studenti tirocinanti - spesso può venire travisato o re-interpretato.
Non ci poniamo mai come giudici o come educatori, ma semplicemente come persone che portano all’interno del carcere progetti improntati alla diffusione della cultura, della conoscenza, del rispetto dei diritti per una civile convivenza. Persone che incontrano altre persone che hanno sbagliato ma che non sono il loro reato e non sono identificabili solo con quello sbaglio, il loro errore, e lo stigma che non va impresso come un marchio nella carne. I volontari di Voci di dentro sono un ponte e non un muro, una porta aperta e non una porta chiusa.
Alla base del nostro lavoro c’è prima di tutto il metodo: fare molta attività di gruppo con i detenuti. Negli spazi assegnati a Voci di dentro ci sono laboratori di dialogo, di scrittura, di studio, di attività manuali, di lavoro, che unisce e non discrimina e tantomeno separa. Dove insieme (detenuti e volontari) ci si libera dallo stigma e dall’etichetta impressa dal sistema sociale, mediatico e penale. Un percorso di crescita per tutti e di responsabilizzazione secondo quanto recita l’articolo 27 della Costituzione. Insieme, nella discussione, nelle relazioni, nel dialogo e attraverso le varie attività, si cerca di costruire una complessità di azioni che possono rimuovere e favorire la rimozione di pregiudizi, distorsioni cognitive, esclusioni, dogmi, rappresentazioni della realtà basate su luoghi comuni. Una complessità di azioni contro gli stereotipi per eliminare diffidenze, rimarginare ferite, togliere corazze (per difesa e per offesa) fatte da anni di vita carceraria. Una complessità di azioni che è volta a far scomparire il carcere (per quanto possibile ma facendo il possibile) e al suo posto far comparire la società civile, la società del rispetto,
della regola uguale per tutti. Insieme a noi, il carcere diventa un luogo dove si comincia a costruire e a mettere in atto nella pratica un luogo diverso, quello del fuori e non del dentro. Un luogo dove si può pensare un futuro diverso da quello passato e dove il carcere è sempre più lontano e contemporaneamente si fa più vicina una “città”.