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<p align="center" class="MsoNormal" style="line-height: normal; tab-stops: 48.0pt; text-align: center;"><u><span style="font-size: 18pt;">COMUNICATO STAMPA</span></u><u><span arial="" face=""><o:p></o:p></span></u></p>
<p class="MsoNoSpacing"><span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-family: Calibri;"><o:p> </o:p></span></p>
<p class="MsoNoSpacing"><b style="background-color: #fcff01;">La sicurezza si raggiunge facendo prevenzione </b></p>
<p class="MsoNoSpacing"><b style="background-color: #fcff01;">La prevenzione si fa migliorando la qualità di vita nelle carceri</b></p>
<p class="MsoNormal"><o:p> </o:p></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Di nuovo allarme in carcere e sui media per l’aggressione subita da un agente di polizia per mano di un detenuto. E di nuovo il solito ritornello per il potenziamento degli organici della polizia. Voci di dentro, che conosce bene la realtà, ritiene che le cose debbano essere affrontate da ben altri punti di vista e non certo in un’ottica esclusivamente sicuritaria che non risolve un bel nulla. <o:p></o:p></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Da tre mesi i 1848 detenuti richiusi negli istituti abruzzesi non fanno attività trattamentali, la scuola è ancora chiusa, i laboratori delle associazioni di volontariato non sono ancora ripartiti, il lavoro è ridotto al lumicino. E così 24 ore su 24 <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>i 1848 detenuti sono abbandonati a sé stessi, confinati nelle celle o nei corridoi. Tanti senza futuro e speranza. Tanti (il 70 per cento almeno) sotto terapia tipo Tavor, Valium, Depakin, Rivotril e chissà quale altro psicofarmaco. Abbandonati a se stessi, privi di contatti con le loro famiglie se non per una telefonata di 10 minuti a settimana e a un colloquio di un’ora non tutte le settimane. Bisognosi di tutto, anche di una lettera che tarda ad arrivare o di un pacco viveri di tanto in tanto. Praticamente inesistenti anche gli incontri con gli educatori (appena 4 a Pescara a fronte di 345 <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>detenuti; solo uno a Chieti più un secondo ma solo per due giorni a settimana a fronte di 110 detenuti). <o:p></o:p></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Facile dire (soprattutto per creare allarme) che l’aggressore dell’agente è un detenuto con problemi psichiatrici… Più difficile capire (ma per questo ci vuole più cervello, meno muscoli, e nessun interesse elettorale o di bottega) che <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i>soggetto</i> <i>psichiatrico</i> spesso lo si diventa per dipendenze e perché si viene ristretti in condizioni disumane, perché i medici (anche loro ridotti all’osso, in media gli psichiatri hanno a disposizione per detenuto appena 5 minuti a settimana – dato di Antigone) alla fine sono costretti a barcamenarsi tra il prescrivere o il cercare di contenere l’abuso di psicofarmaci o dire no alle<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>richieste degli stessi detenuti (e in parte anche degli agenti)<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>tipo “una pillola dottore, altrimenti non sto tranquillo”. Più difficile capire che una telefonata di 10 minuti in più alla famiglia (telefonata negata all’autore dell’aggressione in carcere a Pescara) può allentare un po’ di tensione. Telefonata vitale. Come ha rimarcato lo stesso capo del Dap, Renoldi. Ricordiamo qui che nelle carceri italiane ci sono stati mille tentati suicidi, che nel solo nel mese di agosto si è ucciso un detenuto un giorno sì e uno no; <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che dall’inizio dell’anno si sono uccise 62 persone, uno ogni 4 giorni. Suicidi… anche se noi non li chiamiamo suicidi. Troppo facile definirli così. <o:p></o:p></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">In conclusione, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>al posto del solito e inutile allarmismo, Voci di dentro ribadisce: più educatori e psicologi; più attività trattamentali e laboratori; più apertura al mondo esterno e più contatti; più lavoro e meno tempo perso. E poi più posti nelle Rems (oggi solo 20 in Abruzzo). Questo per riportare la Costituzione dentro il carcere e per garantire in primis la sicurezza degli stessi detenuti ma anche quella della Polizia Penitenziaria. Sapendo bene che è solo tramite la convergenza tra un potenziamento del lavoro psicopedagogico e quello prettamente di sorveglianza della Polizia Penitenziaria che si può auspicare un cambiamento del sistema carcere. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></p>