
Anche Voci di dentro, come tante altre associazioni, è costretto a sospendere tutte le attività in carcere per l'estate. Per i detenuti è una dramma che si aggiunge al caldo, alle celle chiuse, anche alle riduzioni delle cure.
I mali dell'estate - Per molti l’estate è sinonimo di vacanze, mare e leggerezza. Ma non per tutti. Dietro la facciata di spensieratezza, il caldo e la chiusura di scuole, uffici e servizi creano disagi che colpiscono famiglie, anziani e malati. In agosto, il Paese sembra sospeso: ospedali a ranghi ridotti, pubblica amministrazione rallentata, genitori in difficoltà nell’affidare i figli, anziani senza assistenza, i soggetti fragili esposti alle intemperie della mente e del corpo.
Se questa sospensione pesa sulla società civile, nelle carceri diventa dramma. Ogni estate, puntualmente, le attività trattamentali(come previste dall’Ordinamento Penitenziario e che dovrebbero essere obbligatorie per realizzare il pieno reinserimento sociale e lavorativo) si fermano, le scuole chiudono, i volontari diminuiscono. Il personale amministrativo e quello facente parte della Polizia penitenziaria è ridotto al minimo e il sovraffollamento acuisce il disagio. I detenuti restano senza corsi, senza stimoli, senza prospettive e soprattutto senza punti di riferimento e sostegno psicologico. Per loro, si pensa, tutto può essere rimandato: cure, diritti, dignità.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: suicidi, morti per malattie non curate, tensione crescente. Nonostante appelli di associazioni, magistrati, avvocati, politici, del Presidente della Repubblica e persino del Papa, nulla cambia. Il Governo promette, ma non interviene con provvedimenti che diano concretezza ai proclami. La logica resta immutata: carcere uguale sicurezza, senza spazio per il recupero.
Eppure basterebbe poco: una programmazione che mantenga vive attività culturali e formative anche d’estate, laboratori, corsi, iniziative creative, sportelli di ascolto e di sostegno psicologico. Le risorse esistono, così come volontari disponibili a impegnarsi. Ciò che manca è la volontà politica e il coraggio delle direzioni carcerarie, che spesso si rifugiano nel “no” della Polizia penitenziaria per carenza di organico.
Meglio bloccare tutto che rischiare.
Le proteste non sono mancate: dallo sciopero della fame di Rita Bernardini alle visite di “Nessuno tocchi Caino”, dalle lettere giornaliere di Gianni Alemanno sulle afflittive situazioni carcerarie, alle astensioni degli avvocati ed alle sentenze di condanna dell’Italia da parte della Corte Europea e di diversa magistratura locale . Tutto inutile. La politica resta sorda, indifferente a tutto ciò che riguarda il carcere, con il cuore e la mente chiusi.
La domanda è inevitabile: fino a quando si continuerà a tollerare questo scempio? Si può ancora sperare in una riforma, o bisogna rassegnarsi al paradosso di carceri che chiudono per mancanza di dignità, non di “clienti”? Speriamo nella mancanza di clienti.