I pizzini di padre Lucio cappellano di Rebibbia

19 Jan 2025 Claudio Bottan padre lucio boldrin web

“La Porta Santa non può aprirsi e chiudersi solo il 26 dicembre -questa è una mia paura, e neppure con l’Anno Santo 2025, ma deve essere un impegno per aprire la porta del domani da dove far entrare raggi di sole anche nelle notti di dolore di tante persone” scrive padre Lucio nell’ultimo numero della nostra rivista Voci di dentro. E aggiunge: “Svolgere un servizio o il volontariato in carcere non s’improvvisa, ma ti porta a fare un viaggio che ti cambia per sempre la vita e il modo di considerare le persone”.

Il suo è oramai un volto familiare, soprattutto da quando Papa Francesco si è recato al carcere romano di Rebibbia per l’apertura della Porta Santa. Il padre stimmatino è stato uno dei sacerdoti che il 26 dicembre scorso ha celebrato la messa con il Pontefice nella chiesa del penitenziario. Ed è toccato a lui, cappellano- giornalista, l’incarico di portavoce con la stampa in occasione dell’eccezionale evento per il Giubileo della speranza. Quella stessa stampa che ora si affretta a pubblicare acriticamente le veline della Procura.

Da qualche giorno il cappellano è finito in bella mostra su molte testate, questa volta non per il suo impegno da prete di galera ma per una questione di “pizzini” come lasciano maliziosamente intendere giornalisti che di carcere hanno solo distrattamente sentito parlare. L’ipotesi di reato sarebbe favoreggiamento. Sembra che al prete di Rebibbia si contesti di aver favorito i contatti con l’esterno di detenuti in attesa di giudizio: in sostanza Padre Lucio viene indagato per aver stampato i messaggi sms e WhatsApp ricevuti dai familiari che poi consegnava ai detenuti. Sequestrati telefono e pc, chiusa momentaneamente quella porta del carcere che varcava quotidianamente per portare conforto ai suoi “ragazzacci”.

L'art. 18 dell'Ordinamento penitenziario e l'art. 39 del regolamento penitenziario riconoscono alle persone detenute una telefonata a settimana della durata massima di 10 minuti. Per gli imputati le autorizzazioni alla corrispondenza telefonica sono di competenza dell’Autorità Giudiziaria procedente. Dopo la sentenza di primo grado, è competente il magistrato di sorveglianza. I condannati possono essere autorizzati dal direttore dell‘istituto. Sempre l’Ordinamento penitenziario riconosce al detenuto il diritto di avvertire i propri famigliari sia in caso di provenienza dalla libertà, sia in caso di trasferimento da altro istituto. Poi ci sono la realtà, il non detto e le interpretazioni discrezionali della legge.

E allora confesso Vostro Onore, ho peccato anch’io. Era l’estate del 2021 e scontavo una condanna per reati fallimentari arrivata in seguito a 14 anni di udienze. Dopo essere passato per Vasto e Viterbo, al terzo trasferimento in pochi mesi sono stato destinato a Rebibbia Nuovo Complesso dove mi attendevano nuovamente due settimane di “limbo” nella terra di nessuno: la pandemia da Covid, infatti, peggiorava ulteriormente le già precarie condizioni degli istituti di pena e imponeva lunghi periodi di isolamento precauzionale prima di essere collocati definitivamente in sezione.

In cella da solo (ma questo non sempre rappresenta una disgrazia, anzi…) avevo un unico bisogno urgente: far sapere alla mia compagna dove ero finito, sentire la sua voce e provare a tranquillizzarla con una telefonata. Ma in carcere i bisogni si scontrano con le pastoie burocratiche nelle quali si perde il senso di umanità con effetti devastanti. L’interminabile trafila di domandine sembra non finire mai, e quando pare tutto risolto manca la copia del contratto dell’utenza telefonica e poi, di nuovo, il certificato di convivenza, nel frattempo non è stato ancora aperto il conto sul quale addebitare la scheda telefonica e bisogna aspettare. Un’attesa che talvolta uccide.

Dopo dieci interminabili giornate, quando ormai la disperazione aveva preso il sopravvento, ci ho provato. Attraverso uno spaurito “scopino” ho fatto avere un foglietto al cappellano pregandolo di fare una telefonata per me. Un messaggio nella bottiglia, nutrivo poche speranze che arrivasse a destinazione. Conservo ancora il biglietto spiegazzato che ho ricevuto il giorno seguente, due righe scritte a mano: “Simona ti manda un abbraccio e dice di stare sereno. Padre Lucio”.

Quel “pizzino” mi ha letteralmente salvato la vita quando stavo crollando. Se Padre Lucio ha peccato, il suo è un peccato veniale. Colpevole di eccesso d’umanità.