L’immagine che abbiamo scelto per rappresentare questo numero di Voci di dentro è una fotografia scattata da Richard Peter dalla torre del Municipio di Dresda all’indomani dei bombardamenti americani e inglesi il 15 febbraio del 1945, quando Auschwitz era già stata liberata dai russi, a guerra ormai finita. Le macerie di quella che era una bellissima città vengono osservate dalla Bontà, una delle cinque statue realizzate proprio per il Municipio dallo scultore August Schreitmüller tra il 1908 e il 1910.
Il titolo di questo numero è invece “Il cielo sopra Gaza” e richiama il film di Wim Wenders “Il cielo sopra Berlino”: la storia dell’angelo Damien che, assieme all’altro angelo Cassiel, vola sopra la città all’indomani della seconda guerra mondiale, quando la città è ancora divisa dal Muro e dove vive un poeta di nome Omero che sogna la pace e un bambino che si chiede se c’è veramente il male e se c’è gente veramente cattiva.
L’immagine della copertina e la scritta del titolo sono la nostra provocazione e la nostra visione: sono la Bontà e l’Angelo sopra le morti e le rovine, sopra la malattia e la fame, sopra la sofferenza di chi resta. Sono la Bontà e l’Angelo che oggi, proprio oggi che siamo alla vigilia del Natale, guardano e chiedono la fine delle distruzioni compiute da questa strana umanità che non impara dal passato. A distanza di quasi 75 anni da Dresda, quell’immagine storica, la veduta aerea degli scheletri delle case colpite a tappeto perché fosse visibile il trofeo dell’annientamento umano e civile, si ripropone nella striscia di Gaza: un fazzoletto di terra dove si rivede la stessa fotografia bellica, lo stesso cannibalismo di una memoria che ha divorato sé stessa.
Mentre migliaia di bambini hanno perso parti del proprio corpo, senza cibo, acqua e medicine, come ci ricorda in apertura padre Faltas, Vicario della Custodia in Terra Santa. E mentre eserciti potenti agli ordini dei loro governanti di Israele danno l’ultima lezione del vincitore che tale e solo in questo modo intende dichiararsi sul vinto e spianano case e palazzi. Sordi e ciechi allo sterminio che stanno compiendo, o meglio dire al genocidio come appropriatamente accusa l’Onu e come ci spiega in questo numero Giorgio Ferrario ex Delegato Internazionale Cri raccontandoci del disegno di una guerra criminale che ha maturato da tempo il progetto di pulizia etnica della Palestina.
Quasi che fossero spinti, eserciti e governanti, da quei terribili amori e pulsioni primari per la guerra - per citare James Hillman - che spingono a volere la distruzione, la polverizzazione collettiva di un popolo. Utile in questo senso l’articolo di Paolo Pagliaro, direttore di 9colonne, che nel ripercorrere le tappe delle tante guerre di questo mondo, e delle sue metamorfosi, ci fa entrare nel pensiero del filosofo Umberto Curi che ha appena mandato in stampa “Padre e re” ricordandoci che solo un mondo più giusto sarà un mondo più sicuro.
Un mondo sicuro perché un mondo di pace. Sulla strada tracciata da pensatori come Johan Galtung e da giornalisti e reporter di guerra come Tiziano Terzani che riproponiamo in questo numero con un articolo all’indomani dell’attentato dell’11 settembre dal titolo “Una buona occasione”… per cambiare e togliere ogni arma alla violenza e alle guerre; appello, come ben vediamo, caduto nel vuoto di una democrazia sempre più debole e sostituita - spiega bene nelle nostre pagine Roberto Reale – dal regime della finanza e del denaro.
Davvero triste il mondo sopra il quale vola lo sguardo, se dovessimo immaginarlo, della Bontà e dell’Angelo della nostra copertina. Ma è così, con questa visione, che vogliamo guidare il punto di vista di chi ci legge. Un punto di vista che si concentra come sempre e soprattutto sul carcere, altra terra di relitti e morti, con i suicidi di cui non fa più notizia il numero, che è arrivato mentre chiudiamo la nostra rivista a 89. Una questione rimossa in cui “nessuno può dirsi assolto” scrive Claudio Bottan.
Avevamo già detto “Non chiamateli suicidi” e dobbiamo ripeterlo perché sono in verità Morti di Stato. Morti in una istituzione sbagliata: quanto più il carcere scompare da una visione collettiva che continui ad interrogarsi, inabissando ogni tentativo riformatore nel cono d’ombra delle derive securitarie, tanto più si presenta, visto dall’alto, come un luogo anch’esso “bombardato”, martoriato, in sofferenza.
Colpita al cuore è la stessa speranza di chi lo abita, nella fatiscenza di tante, troppe celle dalle quali nemmeno uno spicchio di cielo può vedersi. Nessun Angelo e nessuna Bontà per loro anche in questo Natale.