Le crociate contro il male

03 Mar 2024 Vincenzo Scalia Anche in Inglese

Il recente suicidio di Giovanna Pedretti, la ristoratrice di Lodi che avrebbe scritto una recensione negativa forse falsa sul suo locale per attirare clientela LGBTQIA+, ci spinge a riflettere in merito alla possibile esistenza di un regime mediatico, e su come esso coinvolga l’opinione pubblica in presunte crociate contro il male.
Tale presunzione è dovuta sia alla reale rilevanza delle campagne innescate da un circo dell’informazione sempre più virtuale, sia alla supponenza dei promotori della crociata, auto-accreditatisi come campioni del bene. L’effetto della crociata è quello della tragedia, come nel caso della povera Giovanna Pedretti, o quello di obliterare le garanzie penali e la stessa presunzione di innocenza.
La ristoratrice, sull’onda del presunto imbroglio “smascherato” dalla blogger Selvaggia Lucarelli e dal fidanzato Lorenzo Bigiarelli, aveva subìto un vero e proprio linciaggio, virtuale nelle forme, reale nei contenuti, dai seguaci dei due in oggetto. Un comportamento che, invece di stimolare le forze dell’ordine a proteggere la vittima di questa aggressione, al contrario aveva spinto i Carabinieri di una vicina stazione locale a convocare la signora Pedretti come “persona informata dei fatti”(!), dandone per scontata la colpevolezza per truffa, sull’onda di quanto affermato dai due piccioncini-blogger, senza attendere eventuali mosse da parte dalla magistratura o l’esito di eventuali indagini.
La vicenda tragica di Giovanna Pedretti costituisce un’ulteriore manifestazione di quello che, parafrasando Vincenzo Gioberti, potremmo definire propriamente come il degrado morale e civile degli Italiani. Un deterioramento della vita pubblica, che fa leva sulla residualità progressiva dell’interazione collettiva, sull’aggiramento dei filtri formali e informali che regolano la convivenza civile, sull’egemonia della logica binaria colpevole/innocente, che alimenta un vero e proprio giustizialismo surrogato di giustizia sociale. Soprattutto, si tratta di un episodio che, ancora una volta, mostra un processo di cambiamento significativo a livello di opinione pubblica: i media tradizionali, ovvero quotidiani, periodici, radio e TV, fanno il paio con i cosiddetti social nella creazione di personaggi da tipicizzare e stigmatizzare in forza dell’implementazione di provvedimenti o altri mezzi politici repressivi.
L’ultimo quadriennio pullula di casi di questo tipo. Nel marzo 2020, in piena pandemia da Coronavirus, fu il presentatore televisivo Massimo Giletti a chiedere e ottenere, dall’allora Guardasigilli Bonafede, l’allontanamento del Direttore del DAP in carica, Basentini. La causa era un presunto “lassismo” nei confronti dei detenuti sottoposti al regime del 41 bis, in seguito alla sentenza del Tribunale di Sassari che scarcerava un affiliato alla camorra in quanto malato terminale. Il presentatore aveva costruito una vera e propria narrazione dietrologica e cospirazionista, che metteva insieme le rivolte nei penitenziari dovute alle restrizioni introdotte in pandemia e culminate nelle stragi di Modena e Santa Maria Capua Vetere, con le richieste di scarcerazione avanzate dagli affiliati alle organizzazioni criminali. Un connubio mortale, pericoloso per la legalità, da stroncare immediatamente. Tanto che il Ministro, invece di verificare la fondatezza di queste illazioni, oltre a licenziare Basentini, congelò le scarcerazioni.
Qualcosa di simile è successo nell’anno appena trascorso, quando la richiesta di revoca del 41 bis da parte dei legali del militante anarco-insurrezionalista Alfredo Cospito è stata seguita dalla diffusione di notizie che parlavano della costruzione di una trama eversiva anarco-camorrista (!), opportunamente recepita dalla compagine governativa, costruzione che però, stavolta, non ha sortito l’effetto sperato, dal momento che Cospito ha ottenuto l’annullamento della condanna all’ergastolo.
Non si tratta di episodi isolati, purtroppo, ma di casi in grado di scatenare il clamore dell’opinione pubblica, agendo sulle paure diffuse allo scopo di suscitare l’aumento di audience e di influenzare una decisione politica che puntualmente arriva, proponendo un modello di democrazia diretta, attenta agli umori della piazza.
In realtà, la democrazia, col regime mediatico, ha ben poco a che fare. In primo luogo, di solito, il processo democratico si fonda su elaborazioni condivise, frutto di riflessioni ispirate dal possesso di elementi di discussione appropriati, accurati e approfonditi. Qui, invece, basta una voce messa artatamente in giro da bloggers in cerca di fama a giustificare l’acquisto di spazi pubblicitari o il fatto che giornalisti scandalistici, smaniosi di popolarità, attingano ai peggiori pregiudizi e luoghi comuni, per costruire un caso in grado di suscitare paura e fomentare la domanda repressiva.
In secondo luogo, la democrazia, si basa su un’architettura complessa di regole e procedure, all’interno delle quali le persone sono innocenti fino a prova contraria e il cosiddetto diritto di cronaca finisce dove comincia la tutela della reputazione individuale e collettiva. Un’impalcatura costantemente aggirata, quando non addirittura smantellata, da chi punta invece a produrre e a vendere contenuti mediatici finalizzati ad ottenere una rendita di posizione attraverso la popolarità.
Ciò, spesso, senza nemmeno possedere una consapevolezza anche solo superficiale del tema che si sta trattando. È di pochi giorni fa la notizia della richiesta di risarcimento avviata contro  Selvaggia Lucarelli, la stessa blogger coinvolta nel caso Pedretti, per avere leso l’immagine pubblica e professionale dello psicologo implicato nel famigerato caso di Bibiano.
Si tratta di una tendenza che si rivela pericolosa, come abbiamo già accennato, nella misura in cui influenza le decisioni politiche. Pensiamo a quanto è successo lo scorso novembre a Milano. La trasmissione Striscia la Notizia, che con Le Iene, Quarta Repubblica e Fuori dal Coro condivide il non invidiabile ruolo di “fabbrica della paura”, ha mandato in onda un video che mostrava alcune ragazze rom nell’intento di rapinare i passeggeri della metropolitana. Tanto è bastato al commissario di polizia della zona dove è stato filmato un video per compiere una serie di retate che, ovviamente, hanno avuto come bersaglio le ragazze rom, reale o presunta che fosse la loro origine.
L’ATM milanese, con propri operatori affiancati da agenti di polizia, ha rafforzato i controlli di soggetti privati. Pochi giorni dopo, trovandomi a Roma per lavoro, dai megafoni della metropolitana si diffondeva l’invito a guardarsi da passeggere giovani e di sesso femminile, mentre la vigilanza privata effettuava perquisizioni a campione su persone dello stesso tipo (!).
Siamo di fronte ad una decisione unilaterale, legata alla gestione di un servizio pubblico, che così aggira le eventuali procedure di legge, secondo cui sarebbero proibite le discriminazioni sulla base dell’etnia (rom) e del sesso (femminile), ma che ricorda molto da vicino la segregazione razziale USA e l’apartheid sudafricano. Senza ricorrere a cartelli che esplicitano avvisi di precise norme e alle leggi, si fa leva sui media e sul senso comune a discapito di un intero gruppo sociale, nei confronti del quale si applica una repressione sistematica e si diffonde l’odio, alimentando e riproducendo discriminazioni, intolleranza e razzismo.
Sulla falsariga di quanto è avvenuto in metropolitana a Milano, questo schema, ormai consolidato, si è ripetuto per il DDL sulla sicurezza. Sulle reti Mediaset, per un paio di mesi, abbiamo assistito a un profluvio di esperienze vittimologiche, raccontate al pubblico da personaggi del calibro di Flavio Briatore ed Elenoire Casalegno. Per democratizzare la paura, i suddetti, insieme ad altri veri o presunti VIP, hanno raccontato a milioni di italiani di essere stati insultati, minacciati, aggrediti, depredati da migranti, rifugiati o rom. La signora Casalegno ha anche detto che, pur non capendo la lingua del suo presunto aggressore, ha subito un insulto maschilista (chissà come ha fatto a comprenderlo, verrebbe da dire). Palazzo Chigi non è rimasto con le mani in mano, varando immediatamente un disegno di legge che, tra le sue perle, annovera l’introduzione del DASPO urbano per chi ha precedenti penali e la possibilità per poliziotti e carabinieri di portare le armi in loro possesso anche fuori dalle ore di servizio. Insomma, il Governo ricama un vero e proprio Far West, e crea lo spazio dove relegare le nuove classi pericolose, ovvero i condannati per reati attinenti ai disordini urbani o ai crimini di strada. Uno spartito già collaudato in occasione del decreto Caivano. 
Eccoci davanti allo stesso paradigma: blogger e imprenditori mediatici in cerca di audience e di investimenti pubblicitari cavalcano le paure, aggirando le procedure formali e la conoscenza accurata dei fatti, giungendo infine a criminalizzare individui e gruppi sociali specifici. La sfera politica, affamata di consenso, si adegua alla “domanda di sicurezza”, mostrando i muscoli. Ormai la TV, i blog, i social contano di più delle aule del tribunale o di quelle del Parlamento. In nome dell’audience e della pubblicità, si ritiene legittimo distruggere l’integrità fisica e morale di gruppi o singole persone.
Non mettiamo in dubbio che l’opinione pubblica si fondi proprio sulla pluralità e diversità di posizioni, sui confronti accesi e serrati. Appunto per questo, siamo tra coloro a cui non piacciono le campagne di criminalizzazione a senso unico, in grado di mobilitare milioni di persone, protette dall’anonimato di schermo e tastiera, verso la punizione di un capro espiatorio, offrendo un surrogato di democrazia che, nella realtà, si concreta nelle forme di un vero e proprio squadrismo mediatico. A volte, quale conseguenza di tutto ciò, ci viene voglia di proporre la limitazione del diritto di cronaca. Poi, ci ricordiamo che la cronaca, quella autentica, si fonda sulla raccolta di fatti e di testimonianze caratterizzate dalla massima accuratezza. Che non ha niente a che fare con quanto ci propongono Ricci, Giordano, le Iene e Selvaggia Lucarelli. Loro configurano, rappresentandone le articolazioni, un vero regime mediatico. Che va combattuto a fondo.
Vincenzo Scalia è docente di Sociologia della devianza

Il testo tradotto in inglese a cura di Alessia Cuinè

Giovanna Pedretti’s recent suicide is the dramatic outcome of a worthless social-media querelle around a negative review about her restaurant in Lodi, which the victim - based on her media prosecutors - used in order to attract homosexual customers.  This incident pushes us to reflect on the possible existence of a media regime as well as on a likely public opinion involvement in alleged crusades against evil. This assumption due both to the real relevance of the campaigns triggered by an increasingly virtual information circus, and to the supposition of the promoters of the crusade, self-accredited as champions of good. In the case of poo Giovanna Pedretti the effect of the crusade is one of tragedy, possibly casting the shadow of obliterating criminal guarantees and the very presumption of innocence.

The restaurateur, on the wave of the alleged scam "unmasked" by the blogger Selvaggia Lucarelli and her boyfriend Lorenzo Bigiarelli, had suffered a real lynching, virtual forms, real content, by the followers of the two in question. A behaviour that, instead of encouraging the police to protect the victim of this attack, on the contrary had pushed the police of a nearby local station to convocate Mrs Pedretti as "person informed of the facts"(!), taking for granted the guilt for fraud on the wave of what was stated by the two lovebirds-bloggers, without waiting for any moves by the judiciary or the outcome of any investigation. The tragic story of Giovanna Pedretti is a further manifestation of what - paraphrasing Vincenzo Gioberti - we could properly define as the moral and civil degradation of Italians. A deterioration of public life, which relies on the progressive residualness of collective interaction, on the circumvention of formal and informal filters that regulate civil coexistence, on the hegemony of the guilty-or-innocent binary logic, that feeds a real surrogate of social justice. Above all, it is an episode that, once again, shows a process of significant change in public opinion: the traditional media (newspapers, magazines, radio and TV), pair with so-called social media in the creation of characters to typify and stigmatize by the implementation of repressive measures or other political means. The last four years is full of such occurrences. In March 2020, in the midst of the Coronavirus pandemic, TV presenter Massimo Giletti asked and obtained, from the then minister of Justice, the dismissal of the Prisons Administration chief of  in charge, Francesco Basentini.

The case was an alleged "laxity" towards prisoners subjected to the rigid regime of 41-bis, following the judgment of the Court of Sassari that released an affiliate of the Camorra as terminally ill. The presenter had built a veritable narrative conspiracy, which put together the riots in the penitentiaries due to the restrictions introduced in pandemic and culminating in the massacres of Modena and Santa Maria Capua Vetere, with requests for release made by members of criminal organizations. A deadly correlation, dangerous to the law, to be put down immediately. So much so that the Minister of Justice, instead of verifying the validity of these allegations, in addition to dismissing Basentini, froze the release. Something similar happened in the past year, when the request for the revocation of 41-bis by the lawyers of the anarcho-insurgent militant Alfredo Cospito was followed by the spread of news that spoke of the construction of a subversive plot anarcocamorrista (sic). This time, however, it did not have the desired effect, since Cospito obtained the cancellation of the life sentence. These are not isolated episodes, unfortunately, but cases that can trigger public outcry, acting on widespread fears in order to arouse the increase in audience and influence a political decision that punctually arrives, proposing a model of direct democracy, attentive to the mood spreading in the public opinion. Democracy has actually little to do, if anything, with the media regime.

First, the democratic process is usually based on shared elaborations, the result of reflections inspired by the possession of appropriate, accurate and in-depth elements of discussion.  Here, however, just a rumour spread by bloggers in search for hunger to justify the purchase of advertising space or the fact that tabloid journalists, eager for popularity, draw on the worst prejudices and clichés  to build a case capable of arousing fear and fomenting repressive demand. Secondly, democracy is based on a complex architecture of rules and procedures, within which people are innocent until proven guilty and the freedom of press ends where the protection of individual and collective reputation begins. A scheme constantly circumvented, if not even dismantled, by those who aim instead to produce and sell media content with the goal to obtain an income of position through popularity. This, often, without even possessing a superficial awareness of the subject being discussed. Now it turns up that a claim has been filed against Selvaggia Lucarelli, the same blogger involved in the Pedretti case, for having damaged the public image of a psychologist under suspicion for the notorious case of Bibbiano. This trend is dangerous, as we have already mentioned, insofar as it affects political decisions. Think about what happened last November in Milan: the broadcast Striscia la notizia, which with Le iene, Quarta repubblica and Fuori dal Coro, sharing an unenviable role of "factory of fear", aired a video showing some Rom girls attempting to rob the subway passengers. It was enough for the police commissioner in the area, where a video was filmed, to carry out a series of raids that, of course, targeted girls whose Rom origin was either real or presumed.

Soon Milan's municipal transport company's operators flanked police officers in strengthening the controls of private subjects. A few days later, in Rome the megaphones of the metro advised to watch as young and female passengers spread, while private surveillance carried out random searches on people of the same type (!). We are faced with an unilateral decision, linked to the management of a public service, which thus circumvents any legal procedures, according to which discrimination on the basis of ethnicity (Rom) and sex (female) would be prohibited as it all resembles US racial segregation and South African apartheid. Without resorting to signs that make explicit warnings of precise rules and laws, it relies on the media and common sense at the expense of an entire social group, against which systematic repression is applied and hatred spreads, feeding and reproducing discrimination, intolerance and racism.

Along the lines of what happened in the Milan subway, this long-established scheme has been repeated for the draft-law on Security. On the Mediaset networks, for a couple of months, we have witnessed a flood of victimological experiences, told to the public by people like Flavio Briatore and Elenoire Casalegno. In order to democratize fear, they, along with other real or alleged VIPs, told millions of Italians that they had been insulted, threatened, assaulted, robbed by migrants, refugees or Roms. Mrs Casalegno also said that, not understanding the language of his aggressor, he suffered a male insult - who knows how he understood it, one might say. Government did not sit back however, immediately passing a bill that, among its pearls, includes the introduction of the urban “DASPO” (ban from sporting events) for those with a criminal record and the possibility for the police to bring the weapons in their possession even outside the hours of service. In short, the government team embroiders a real Far West, and creates the space where to relegate the new dangerous classes, namely those convicted of crimes related to urban disorder or street crimes. A score already tested with the latest “Caivano decree”. Here we are with the same paradigm: bloggers and media entrepreneurs looking for audiences and advertising investments ride fears, bypassing formal procedures and accurate knowledge of the facts, finally criminalizing specific individuals and social groups. The political sphere, hungry for consensus, adapts to the "security question", showing its muscles. TV, blogs and social media are now more important than courtrooms or even the Parliament. In the name of the audience and advertising, it is legitimate to destroy the physical and moral integrity of groups or individuals.

We do not doubt that public opinion is based precisely on the plurality and diversity of positions, on heated and close confrontations. Truly for this reason, we are among those who do not like one-way criminalization campaigns,  likely to mobilize millions of people, protected by the anonymity of screens and keyboards, towards the punishment of a scapegoat, offering a surrogate democracy, that, in reality, is tangible in the forms of a real media squadrismo. Sometimes, as a consequence of all this, we want to propose the limitation of the freedom of the press. Then, we remember that the journalism, the authentic one, is based on the collection of facts and testimonies characterized by the utmost accuracy. Which has nothing to do with how much Ricci, Giordano, Le iene and Selvaggia Lucarelli can do. They configure, representing the articulations, a true media regime. That must be fought thoroughly.