Morte a Torino: suicidio o omicidio sul lavoro. Comunque un ennesimo crimine di pace
29 Sep 2024 Vito Totire*Le notizie di cronaca sono scarne ma è emersa la ennesima tragedia sul lavoro: un lavoratore camionista di 59 anni si sarebbe “suicidato” in una condizione di disperazione causata da uno stato di sovraccarico lavorativo. I familiari hanno fatto un esposto alla Procura della Repubblica e il Pm Vincenzo Pacileo ha aperto un procedimento. Secondo le cronache, il lavoratore, peraltro prossimo alla pensione, avrebbe subito non solo pressioni per accollarsi un carico di lavoro eccessivo e insopportabile ma anche umiliazioni e persino una aggressione fisica; il Pm intravede evidentemente nella condotta del datore di lavoro e di un dirigente aziendale una ipotesi di omicidio colposo conseguenza della violazione delle norme di legge sulla sicurezza: il lavoratore faceva 50 ore di lavoro alla settimana, non venivano garantiti i riposi necessari e si trovava dunque in una condizione di grave costrittività che gli faceva temere, per le gravi pressioni subite, la possibilità di perdere il lavoro in caso di “disobbedienza”, oltre a suscitare angoscianti timori sul destino della sua abitazione in caso di licenziamento.
Si tenga conto che la letteratura medica indica in un eccesso stabile di lavoro straordinario un rilevante rischio per la salute cardiovascolare, ma un eccesso di straordinario nella mansione di camionista (distress, qualità dell’aria, sconvolgimento dei ritmi fisiologici circadiani) è evidentemente particolarmente duro; il legislatore ha introdotto col decreto 81/2008 l’obbligo di valutare il distress lavorativo tenendo anche conto delle differenze di genere, di età e di paese di provenienza; possiamo dire che in generale questo imput legislativo è rimasto in maniera diffusa “lettera morta”; non che fosse una novità assoluta visto che la norma ricalca quanto già sancito dal codice di procedura civile degli anni 40 del secolo scorso (responsabilità giuridica del datore di lavoro della integrità psicofisica del lavoratore) ma è che al “padrone “bisogna “spiegare” i suoi doveri più volte e scrivendoli in caratteri cubitali e in maniera letterale.
Quanti di questi “crimini di pace” si consumano ogni giorno? Solo qualche settimana fa un altro “suicidio” in Veneto dopo una lettera di licenziamento che, per le modalità con cui è stata pensata e redatta, avrebbe sconvolto chiunque e che pare aver indotto in quel lavoratore una condotta suicidaria; troppo spesso nel mondo con ricatti se non con violenze fisiche vengono imposte condizioni di lavoro simil-schiavistiche. Il problema non è solo che i responsabili di questi eventi devono rispondere delle loro gravi responsabilità; il problema è anche mettere in campo misure di prevenzione con la diffusione di una rete capillare di monitoraggio, intervento, autoaiuto e autodifesa dei lavoratori.
Questo ultimo evento luttuoso di Torino probabilmente non entrerà nella “casistica Inail” ma non è un caso isolato, è la punta dell’iceberg di un drammatico fenomeno che è fin troppo chiaro da sempre; 25 anni fa la UE con la Guida per la prevenzione dello stress lavorativo valutava che “lo stress sul lavoro causa danni alla salute dello stesso ordine di grandezza delle malattie professionali “tabellate” e degli infortuni”; la differenza sta nel fatto che gli effetti negativi del distress sulla salute non vengono mai riconosciuti né risarciti; la Guida evidenzia che la situazione si configura come un sistema di “profitti provati e oneri pubblici” nel senso che i profitti derivanti dal lavoro schiavistico vanno in mani private e gli effetti sanitari danneggiano la salute dei lavoratori con costi a carico del sistema pubblico; la Guida cita, tra le reazioni estreme al distress lavorativo, anche la condotta suicidaria della vittima, assieme ad altre condotte nocive, e d’altra parte nella storia operaia di Torino, d’Europa e del mondo la funesta dinamica è ben conosciuta.
Da allora la situazione non è cambiata: spesso quello che dovrebbe essere a carico Inail finisce a carico Inps nel disinteresse totale del ceto politico.
Esprimiamo la nostra sentita solidarietà ai familiari del lavoratore che peraltro hanno avuto il coraggio di intraprendere un’ azione giudiziaria e diamo la piena disponibilità al supporto anche sul piano delle azioni di consulenza peritale (ovviamente in attività di volontariato) se ce ne fosse bisogno.
*Medico del lavoro/psichiatra, Centro Studi (Osservatorio) Per Il Benessere Lavorativo via Polese 30 40122 Bologna