Scrivere salva

26 May 2025 Antonella La Morgia Antonella La Morgia

Scrivere Salva è stato presentato al Caffè Letterario Cinquesensi sabato 24 maggio. Ospiti: Sandro Bonvissuto (Dentro, Ed. Einaudi), Claudio Bottan (Pane e malavita, U. Soletti Ed.), Emidio Paolucci (Finché galera non ci separi, Haze Ed.), Dario Esposito (Oltre le sbarre, Falco Ed.). Con Francesco Lo Piccolo Presidente di Voci di dentro e Direttore della Rivista Voci di dentro (moderatore). Luisa Vaccari (letture).

Scrivere Salva è un evento in cui Voci di dentro  ha già raccontato e racconta come la scrittura può salvare da quel buco nero in cui si entra talvolta, qualcuno talvolta entra nella vita. Come ci si salva da una caduta, dal dolore della perdita, dalla realtà che urge di essere tradotta in parole per essere meglio sopportata, elaborata.
Quando il buco nero è il carcere scrivere è un atto di supremazia della parola: perché l’unica cosa che può non essere sottomessa quando tutto deve piegarsi è proprio la parola, la narrazione di sé e di ciò che si vive.
C’è anche chi il carcere lo vive da agente e sente che il mondo di fuori non si accorge di cosa sia il proprio lavoro. Prova a farne un manifesto, un diario per dare un nome diverso a stereotipi come: vita da secondino e altre storie, gli stereotipi che sempre alimentano le narrazioni delle prigioni. Perché dagli stereotipi tutti, chi sta a “guardia” non meno dei “guardati”, vuole fuggire.
Rimanendo le cose come sono, ci si può meritare il carcere dopo aver commesso un fatto illecito, ci si può meritare la pena che prevalentemente, e purtroppo sempre più, in questo si sostanzia. Ma nessuno merita gli stereotipi. Nessuno dovrebbe meritare di sentire che il muro che separa dalla collettività, a tutela di questa, sia non un muro che contiene da una caduta senza ritorno, dal franare di ogni riserva di coscienza del danno arrecato al prossimo, bensì solo e soltanto un muro del pianto. Un muro che è rifiuto, “concepito per agire sulla coscienza. Perché il muro non è una cosa che fa male; è un’idea che fa male. Ti distrugge senza nemmeno sfiorarti.”(cit. Bonvissuto).
Spazio che manca, tempo che trascorre oltre la sua misura nel vuoto, tempo che stressa: tre vite da detenuto e una da agente hanno fatto diventare il carcere un argomento da sabato sera. Numeri di matricola che sono diventati autori una volta riacquistata la libertà o parte di questa. Il poliziotto che a distanza di anni riconosce che raccontare il suo carcere è stato l’esercizio ingenuo di un ragazzo che ha voluto dare il punto di vista di una categoria che non scrive mai cosa fa e com’è il suo lavoro.
Vite, insomma, che hanno lasciato nel pubblico domande e una certezza. Nella complessità umana convivono forze, il bene quanto il male, qualità positive e negative. Il male che ci si dovrebbe lasciare alle spalle elaborandone l’offesa e il bene per riprendersi la vita in mano dopo la pena. Se pure una positività il carcere può darla a chi vi entra, sta nel non annientare, umiliare, andare contro quanto di positivo c’è nella persona. Non vorremmo dover pensare però il contrario: che non è troppo spesso il carcere ad offrire questa positività. Sono le storie positive di chi fuori dal carcere infine racconta un’altra strada e un’altra storia, quella del cambiamento grazie a qualcuno o qualcosa, e malgrado il carcere. Storie che molto di più si dovrebbero raccontare: sono queste storie a dare una patente di positività al carcere stesso. E il carcere di questa patente continua ad avere uno smisurato bisogno.