Servono giustizia e diritti, no populismo penale

28 Jul 2025 Marcello Maria Pesarini Le strutture di Gjader costruite nell’ambito del protocollo migranti tra Roma e TiranaAlketa Misja / Ap Images

Giorgia Meloni afferma che in passato si adeguavano i reati al numero dei posti nelle carceri. E che, viceversa, uno Stato giusto debba adeguare la capienza delle carceri al numero di persone che devono scontare una pena. Conseguentemente, la prima ministra dichiara che così avremo finalmente la certezza della pena. Per meglio gestire l’emergenza carceraria è inoltre prevista l’assunzione di mille agenti già nella prossima legge di bilancio. C’è anche un provvedimento per le persone tossicodipendenti che potranno scegliere la detenzione «differenziata» in comunità.
Io non penso così: i provvedimenti sono quelli già resi noti e arrivati in Consiglio dei Ministri giusto per le pressioni delle Corti europee e per i moniti del presidente della Repubblica Mattarella. Prevedono tra l’altro container sul modello Albania per spostare il sovraffollamento in cassoni che finiranno comunque all’interno delle strutture già al collasso (in media la sovrappopolazione è del 133% secondo i dati del ministero).
Di fronte a questa uscita populista, che rischia di essere ben accolta causa il clima securitario, suscitato in passato da quasi tutte le forze politiche, rispondiamo: c’è necessità di Giustizia, sia di diritti che sociale. La certezza della pena non coincide con la giustizia. Può coincidere con essa, ma anche con repressione, divario di classe sociale, di religione, di orientamento sessuale.
Il sovraffollamento del 133% non si risolve con i moduli modello Albania, da inserire negli stessi edifici, che sarebbero comunque insufficienti e manterrebbero le condizioni che ci hanno fatto sanzionare da Strasburgo, ma con assunzione di personale amministrativo, abrogando provvedimenti portatori di nuovi reati come il decreto sicurezza, il decreto Caivano che ha triplicato i detenuti minori, il decreto Cutro che non attacca le cause dell'immigrazione, con l'utilizzo di pene alternative e con amnistia e indulto.La giustizia si ottiene con l'indipendenza della magistratura e non con la separazione delle carriere, che rischia di portare la magistratura alle dipendenze dal governo e essere attratta dalla Polizia. La giustizia si ottiene rispettando gli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione, secondo i quali si deve assicurare il pieno sviluppo dell'individuo cittadino, abbattendo gli ostacoli che si oppongono alla sua piena realizzazione. Nello stesso spirito l'articolo 27 della Costituzione sostiene la certezza della pena ma che essa non deve essere degradante e che deve provvedere alla riabilitazione del detenuto. In altre parole: un cittadino/a detenuto non è il suo reato, ma conserva i suoi diritti e la sua necessità di affermazione.
Le professionalità impiegate nelle carceri sono, come peso specifico, principalmente gli agenti di polizia penitenziaria che corrispondono all’89,36% del personale presente negli istituti di pena italiani (gli educatori sono solo il 2,17%) ed il rapporto fra detenuti ed agenti e di 1,67, vale a dire poco più di un detenuto e mezzo per poliziotto. La media europea dei poliziotti penitenziari rispetto alle altre figure professionali è, invece, del 68%. La carenza nel personale di Polizia Penitenziaria è del 19% fra gli uomini e del 21% fra le donne, mentre in quello pedagogico educativo è del 35%. Un’assunzione di 1000 agenti, probabilmente senza un utilizzo mirato, non poterà a nulla, men che meno come qualità.
La percentuale di recidiva tra i detenuti che hanno usufruito di misure alternative alla detenzione è inferiore al 21%. Un’analisi più recente indica che circa il 14% dei detenuti sottoposti a misure alternative commette un nuovo reato entro cinque anni. Le pene alternative mirano alla rieducazione e al reinserimento sociale, riducendo così la possibilità di ricaduta nel crimine. Se dall’altra parte gli educatori sono il 2,17% è comprensibile da cosa derivi la prima fonte di difficoltà nell’applicazione delle attività pedagogiche e della giustizia riparativa. 
Il discorso sulle dipendenze manca di programmazione, mentre quello sui detenuti sofferenti di disturbi psichici è ancora più arretrato. E' necessario un uso coordinato con i dipartimenti sanitari e non punitivo delle REMS, che spesso vengono amministrate in separata sede, mentre e necessario un utilizzo con l’approccio umanitario e rispettoso dei diritti così come immaginato dalla riforma pensata da Basaglia, ribaltando il passaggio dal paradigma manicomiale - custodiale al paradigma terapeutico. Le leggi 9/2012 e 81/2014, conferendo la responsabilità della gestione delle REMS – come strumenti temporanei e di extrema ratio – al personale sanitario, hanno determinato un significativo cambio di paradigma, ponendo l’enfasi sul mandato terapeutico e promuovendo i Dipartimenti di Salute Mentale come fulcro del sistema. In questo contesto, si sono affermati i principi di territorialità, di numero chiuso insieme all’eliminazione della coercizione.
Altro problema legato allo scopo e non alla riduzione della spesa e del danno è quello degli ICAM per detenute madri. E' stata poi solo lievemente ammorbidita la norma in tema di detenzione delle donne incinte o con figli minori di un anno, con previsione che la stessa debba essere eseguita presso un istituto a custodia attenuata. Infatti la norma che evita la custodia cautelare non viene affatto ripristinata, ed inoltre gli ICAM, istituti a custodia attenuata per le madri, sono pochi.