Sull’ultimo (in ordine di tempo) suicidio nel carcere di Bologna: è stata aperta una inchiesta dalla Procura della Repubblica? Se no riteniamo che sia necessario aprirla! Abbiamo redatto un esposto e lo abbiamo inviato alla Procura e alla Ausl; dopo alcune ore dalla notizia dell’ultimo “suicidio” è trapelato il nome della persona deceduta e sono stati diffusi alcuni particolari circa il reato attribuitogli nonché la modalità della esecuzione dello stesso; da questi particolari nascono alcuni interrogativi; dunque:
- L’imputato (accusato di tentato omicidio) dopo il suo gesto sarebbe rimasto immobile nel luogo del reato senza accennare ad alcuna reazione di fuga,
- Sarebbe rimasto non solo immobile fisicamente ma anche in stato confusionale,
- Avrebbe pronunciato frasi del tipo” mi hanno ordinato di farlo”,
Nel caso queste notizie fossero fondate deporrebbero per un quadro che la psichiatria definisce “psicotico” dunque, come già detto, nascono delle domande:
- Quali misure di prevenzione del suicidio sono state adottate? Chi e come ha valutato il rischio? Purtroppo quelle che sono state tentate evidentemente non sono state efficaci,
- La persona non si trovava forse nelle condizioni cliniche da rendere necessaria una rapida valutazione e quindi una collocazione in una Rems?
La chiusura della Rems di Bologna (che a noi comunque è parsa una scelta totalmente sbagliata) ha creato problemi, nel senso della insorgenza di maggiori difficoltà nella presa in carico psichiatrica delle persone che ne hanno bisogno? Tutte le indagini sulle carceri italiane evidenziano la alta percentuale di persone recluse con problemi psichiatrici e tutti gli operatori “indipendenti” sottolineano la insostenibilità di questa situazione e la incongruenza delle strutture intra-carcerarie chiamate ATSM -articolazione salute mentale- apparendo agli esperti in materia più ragionevole fare ricorso, in molti casi, a provvedimento di sospensione pena o libertà provvisoria per motivi di salute oppure, appunto, a collocazione in Rems.
È evidente che per rispondere a queste domande avremmo bisogno di maggiori informazioni e, in primis, anche della cartella clinica intra-carceraria della persona deceduta nonché delle valutazioni del rischio suicidario fatte dalla istituzione penitenziaria. Per questi motivi abbiamo redatto l’esposto di cui sopra e rinnoviamo l’appello a chi (familiari, compagni di detenzione, lavoratori penitenziari o volontari) informato sui fatti ce li voglia comunicare; certamente essere privati della libertà ed essere trattenuti nel carcere di Bologna-per le condizioni fisiche e relazionali che contraddistinguono la gestione di questo carcere (non che sia “peggiore” di altri) comporta di per sé un certo rischio suicidogeno e autolesionistico evidente ormai a tutti.
La Ausl ci ha appena comunicato che il rapporto relativo al primo semestre 2024 è in via di redazione (siamo al 25 luglio): lo aspettiamo anche per verificare se e quanto è stato attuato rispetto alle indicazioni date dagli operatori del dipartimento di prevenzione nel secondo rapporto del 2023; qui evidentemente c’è un nodo fondamentale per il percorso di “umanizzazione” delle carceri : la Costituzione prevede la sanzione della privazione della libertà ma senza che questa scada in “trattamenti disumani e degradanti” ; rispetto a questi non tutte le persone hanno forti e sufficienti capacità di coping, alcune persone più vulnerabili cedono con maggiore facilità; ma il diritto alla vita e al reinserimento socio-lavorativo deve essere garantito a tutti.
Viceversa siamo ormai arrivati al comprensibile sfogo di chi ha denunciato che il sistema penitenziario si è trasformato da carcere, ormai, in camera mortuaria; certo uno “sfogo” ma la realtà è sotto gli occhi di tutti tranne che delle istituzioni che dovrebbero garantire prevenzione e diritti. Chi sa parli o comunque comunichi con noi: è il momento di farlo.
*Vito Totire, Centro F.Lorusso (aderente alla RETE PER LA ECOLOGIA SOCIALE) via Polese 30 40122 Bologna