Abbiamo cambiato idea anche sul carcere...ma non in meglio

10 Oct 2024 Don David Maria Riboldi

Questo articolo è stato pubblicato sull'ultimo numero di Voci di dentro

La lunga estate parlamentare a tema galera si è chiusa col decreto a firma del Guardasigilli. Un decreto che non ha sospeso la pendente proposta di legge di Giachetti sull’aumento dei giorni di liberazione anticipata. Discussione finalmente avviata - dopo due anni! - e rinviata più volte. I media hanno ceduto al senso della realtà, per quanto il sovraffollamento, che in alcuni istituti tocca vertici da Torreggiani, non sembra toccare granché l’opinione pubblica, ormai ben addestrata a risposte leonine sul tema. La ragionevolezza dell’incapienza degli istituti penitenziari sembra non trovare altra risposta: dovevano pensarci prima. Vero, per carità. 
Per quanto la vicenda Zuncheddu dovrebbe averci ormai allertati sufficientemente sul fatto che non sia così matematico finire in carcere “avendo fatto qualcosa per meritarselo”. Ma c’è dell’altro. Come collettività abbiamo cambiato idea su tante cose. Veramente. La cultura odierna, come orizzonte di valori su cui convergere e su cui educare i giovani, non è la stessa di cento anni fa. O di 50 anni fa. 
La Riforma Gentile nel 1923 abbozzava per la scuola un’attenzione per le persone disabili creando classi ad hoc. Cosa che oggi, Vannacci permettendo, non riteniamo più valida. Ma la riforma Gentile era già un passo avanti rispetto al dramma della nascita di un bimbo con qualche forma di disabilità dove in paese veniva spontaneo chiedersi, come per il cieco nato nel Vangelo: chi ha peccato? Lui o i suoi genitori, perché sia nato così? 
Piano piano il linguaggio si è evoluto, è nato un pensiero, delle facoltà universitarie, delle figure professionali dedicate, una legislazione erogante fondi… oggi la famiglia in cui nasce un bimbo con qualche forma di disabilità è accompagnata dalla società. Non è giudicata né abbandonata. 
Per quanto le fatiche restino, per carità. Ma il modo di pensare è cambiato e ha generato strutture sociali di non abbandono. Ci fa onore. 
Nel 1934 venne vietato il fumo ai minori di 16 anni. Quando ero bambino il fumo era lecito ovunque. Si fumava ovunque. Anzi: il non fumatore era uno “di troppo” in alcune compagnie. Uno che dà fastidio e che ha da arrangiarsi. Poi un investimento culturale importante per provare a intaccare anzitutto un modo di pensare, prima ancora che di agire. Il fumo fa male. Non fumare non è solo una cortesia verso gli astemi del tema, ma un comportamento salutista, che allunga la vita e la rende migliore. Più sana. Meno ospedalizzata. Anche qui la legislazione ha fatto i suoi passi, limitando negli anni i luoghi ove sia possibile fumare. Isolando letteralmente, come in aeroporto, quanti non riescono proprio a farne a meno. Non si fuma coi bambini in braccio. Dal 2003 non si fuma nei luoghi pubblici (tranne le carceri dove talvolta pure degli onorevoli fumano sotto il cartello che lo vieta). Siamo cambiati. Abbiamo cambiato mentalità. Non tutti, per carità. Non dappertutto con la stessa intensità. Ma qualcosa è sensibilmente cambiato. In meglio!
Avevo sei anni quando venne introdotto l’obbligo della cintura per i sedili anteriori. Come in tutte le famiglie con bambini piccoli, a casa mia la cosa venne accolta di buon grado, soprattutto a tutela mia. Anche qui. Un investimento culturale importante: spot televisivi, dibattiti in tv, dati sulla percentuale di ‘salvezza’ in caso di incidente… poi per carità: giravano magliette con la cintura nera dipinta sopra e tutte le fantasie dell’italico ingegno per sfuggire al presunto fastidio di questa ‘cosa’ addosso, soprattutto d’estate col caldo. Ma anche qui: siamo cambiati. Oggi non è più come prima. Mettere la cintura è diventato normale. Suona l’allarme se non la metti, a ricordartene con insistenza la necessità. Se ne insegna l’uso a scuola, facendo corsi di educazione stradale ed è parte del bagaglio di insegnamenti che i genitori impartiscono a figli, quando li portano in auto per la prima volta. Siamo cambiati.
Eh sì: siamo cambiati anche sul mondo carcere. Politici del calibro di De Gasperi, Moro, Togliatti, Pertini - la rosa della cosiddetta Prima Repubblica - votavano un provvedimento di clemenza in parlamento un anno sì e uno no. Precisamente 23 dal  1948 al 1992, anno in cui venne introdotta la necessità di una maggioranza qualificata di 2/3 in parlamento per concedere un provvedimento del genere. Da allora, l’indulto del 2006. Poi, come dicono alcuni amici onorevoli, sembra meno grave bestemmiare in parlamento, che pronunciare la parola “clemenza”. Ed è un bel guaio anche per tutti coloro che amano Papa Francesco, invitato dalla Premier al G7 di presidenza italiana, perché proprio il Pontefice ha espressamente chiesto per l’anno giubilare ormai alle porte “forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società” (Spes non confundit, 10). Perché il Papa piace tanto… ma bisogna anche ascoltarlo. persino il Dott. Patronaggio, Procuratore Generale di Cagliari ha invocato l’amnistia e l’indulto dalle colonne di Avvenire il 28 agosto, dicendo: “Ci auguriamo quindi che il drammatico tema del sovraffollamento e dei suicidi in carcere venga affrontato al più presto con provvedimenti organici e di ampio respiro e che, nelle more, si faccia ricorso agli istituti dell’amnistia e dell’indulto, unici mezzi oggi capaci di riportare con immediatezza la pace all’interno delle infuocate carceri italiane”.
Tra l’altro, lo stipare più persone del dovuto in altri ambiti, incontra una legislazione giustamente feroce. Se in una sala cinema ci fosse una sola persona in più delle dovute e regolamentate dai piani di sicurezza della struttura partirebbero multe. Ma lo Stato non multa se stesso se in un istituto di 240 posti ve ne sono 430. Come accade a Busto Arsizio. Pensate: nel Regno Unito faranno ora uscire 5.500 persone di galera con un provvedimento speciale, perché il sovraffollamento è al 98%. E fa scandalo sia al 98%. Da noi non fa scandalo né preme a qualcuno sia al 130%. Come ha detto due mesi fa Mons. Trevisi, vescovo di Trieste: “Le persone sono in carcere perché non hanno rispettato la legge: ed ecco che è un controsenso se poi lo Stato non rispetta le leggi che regolamentano il carcere e i carcerati”. 
Anche qui. Siamo cambiati. Ma non in meglio. Non sono nessuno per esprimere pareri, ma non ho condiviso la pompa magna con cui si è accolto il rientro di Chico Forti in Italia. Son lieto sia tornato in patria e abbia potuto vedere la sua mamma. E complimenti a chi vi è riuscito. Ma tutta quella spettacolarizzazione mi è parsa poco igienica. Detto questo, un quotidiano che titola “‘Benvenuto assassino” è veramente squallido… ma poggia su quel cambio di mentalità che ci rende oggi “‘normale” l’essere verbalmente violenti, chiassosi, rissosi, quando si parla di persone in carcere. E questo non fa bene a nessuno. Né a chi è dentro, né a chi è fuori.
Non so come andrà là dove “si puote”, ma auguro i nostri rappresentanti abbiano il coraggio di scrollarci di dosso questa normalizzata cattiveria sociale, o potremmo dire “cattiveria social”. Perché la cattiveria non ha mai reso buono nessuno. Auguro davvero si voti a favore della proposta di legge Giachetti, sostenuta anche da Rita Bernardini, Presidente di Nessuno Tocchi Caino. Auguro possiamo invertire questo trend culturale, prima ancora che legislativo. 

*Cappellano alla Casa Circondariale Busto Arsizio, Fondatore de La Valle di Ezechiele