Carcere sicuro, tanto rumore per nulla: provvedimento indeterminato e limitato

12 Oct 2024 Antonio Gelardi*

Questa analisi è stata pubblicata sull'ultimo numero di Voci di dentro

Sono state avanzate, da parte di numerosi osservatori, diverse riflessioni, per lo più critiche, rispetto alle misure adottate con il decreto cosiddetto “carcere sicuro” poi convertito in legge con modifiche di non grande rilievo nella parte che interessa specificamente l’ordinamento penitenziario.
Un ulteriore approfondimento, a parere di chi scrive, merita la norma contenuta nell’articolo 8 che contiene “Disposizioni in materia di strutture residenziali per l’accoglienza ed il reinserimento sociale dei detenuti”. Il provvedimento riguarderebbe, detenuti che avrebbero diritto ad accedere a misure di comunità, ma che non sono in possesso di un domicilio idoneo.
La riflessione concerne l’idoneità della misura rispetto agli obiettivi dichiarati, ossia quelli di ridurre il sovraffollamento e contribuire alla umanizzazione dell’esecuzione della pena, nonché i possibili sviluppi futuri, ed i rischi paventati, di esternalizzazione della pena. Va sottolineato che le osservazioni hanno carattere del tutto interlocutorio, dal momento che la disciplina puntuale delle caratteristiche dei servizi offerti dalle comunità viene rimandata ad un successivo decreto del Ministro della giustizia e che lo scopo indicato in premessa “ ..semplificare la procedura di accesso alle misure penali di comunità e agevolare un più efficace reinserimento delle persone detenute” risulta, nella sua ampiezza, estremamente indeterminato.
Il presente contributo non parte da un pregiudizio sfavorevole, dal momento che il problema costituito dalla permanenza in carcere di persone con fine pena breve, che potenzialmente potrebbero fruire di misure di comunità, esiste, e non da ora, e si può ritenere che la previsione normativa vada nella direzione di mettere a sistema ipotesi di intervento previste in vari progetti per il settore degli adulti - in molti casi finanziati da cassa ammende ed aventi come partner le regioni o i comuni - ovvero contenute in progetti di inclusione sociale contemplate fra gli obiettivi operativi del Dipartimento per la Giustizia minorile.
Secondo i dati riportati dal CNCA (Comitato nazionale comunità di accoglienza) più del 50% dei detenuti con almeno una condanna definitiva ha una pena residua inferiore ai 3 anni (e quindi potrebbe in teoria avere accesso a una delle misure alternative alla detenzione previste per legge), e circa 8.000 hanno una pena inferiore a 1 anno. Di questi quasi il 40% sono stranieri, che spesso risultano avere maggiori difficoltà per l’accesso alle misure alternative alla detenzione per mancanza di un domicilio adeguato.
Rispetto a questi dati appare giusta la considerazione che, offrendo una soluzione abitativa a questa fascia di popolazione detenuta, si realizzerebbe una certa diminuzione del sovraffollamento.
La relazione illustrativa del disegno di legge, allegata ai lavori parlamentari presenta però degli elementi che sembrano contraddire la fondatezza delle dichiarazioni governative rispetto alla efficacia della misura ed all’ampiezza dell’intervento che la previsione renderebbe possibile. Il costo stimato per la diaria giornaliera sarebbe di 93 euro e verrebbe sostenuto per ciò che concerne i detenuti non abbienti, con fondi del Ministero della Giustizia, “a valere sugli stanziamenti dei capitoli di bilancio della cassa ammende”.
Il numero dei possibili beneficiari viene stimato annualmente in 206, un numero quindi assolutamente poco rilevante. Oltre questo numero si andrebbero aggiungendo persone detenute che pagano per così dire la retta; ritenere però che vi siano persone detenute, non in possesso di domicilio, ma che siano in grado di sostenere questi oneri appare ipotesi che va oltre l’improbabile. Si attenderà comunque l’emanazione del previsto decreto, che fra le altre cose disciplinerà le modalità di recupero delle spese per la permanenza, per i soggetti diversi da quelli non in grado di provvedere al proprio sostentamento. Circa il costo stimato per la diaria giornaliera va detto che per una iniziativa che presentava delle analogie (cfr. Progetto di inclusione sociale per persone senza fissa dimora in misura alternativa - 3 aprile 2020 - formulato dal Dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità) il contributo finanziario previsto a carico del Dipartimento era di 20 euro giornaliere e che recenti progetti finanziati da cassa ammende (cfr. Una casa per ricominciare) prevedevano una spesa giornaliera di poco più di 25 euro.
Per ciò che concerne comunque la determinazione di massima dell’onere, la relazione tecnica citata spiega che si è tenuto conto della forbice dei costi previsti per le strutture di accoglienza di vario genere, che vanno da 35 euro a 150 euro e che prudenzialmente ci si è attestati sulla cifra di 93 (cifra non esigua, ndr.). Si spiega inoltre che la cifra terrebbe conto dei servizi offerti per attuare un programma individualizzato atto al reinserimento sociale. La norma prevede infatti (articolo 8 c 3) che ai fini dell’iscrizione nell’elenco di cui al comma 1, le strutture residenziali garantiscono, oltre ad una idonea accoglienza residenziale, lo svolgimento di servizi di assistenza, di riqualificazione professionale e di reinserimento socio-lavorativo dei soggetti residenti, compresi quelli con problematiche derivanti da dipendenza o disagio psichico, che non richiedono il trattamento in apposite strutture riabilitative. Sarà importante a tal fine che i requisiti indicati siano definiti dal decreto attuativo in maniera rigorosa, e che altrettanto rigorosa sia l’attività di vigilanza prevista dal decreto stesso. Rimane da comprendere appieno come mai rispetto alla platea delle persone con brevi fine pena il numero stimato dei possibili fruitori sia così ridotto. 
Nella riduzione del numero dei potenziali beneficiari gioca evidentemente la questione, su cui si tornerà, della preclusione normativa di accesso ai benefici, in particolare di quello previsto dalla legge 199 del 2010 che riguarda persone condannate per l’ampia gamma dei reati di cui all’articolo 4 bis della legge penitenziaria. Un altro motivo può essere dovuto anche all’esigenza di contenere il costo e lo stanziamento attinto da fondi che sarebbero destinati a cassa ammende, ma verrebbe da pensare che lo stesso legislatore non nutra molta fiducia nella misura e che, come per altre misure contenute nel decreto legge, l’effetto annuncio sia in gran parte prevalente rispetto alla reale efficacia della misura.
Più in generale si può osservare che da un lato l’obiettivo perseguito, a cui si è fatto cenno in premessa, è condivisibile pur se la normativa in attesa dell’emanazione del previsto decreto appare poco chiara; in favore del “collocamento in comunità gioca la circostanza che vi sono realtà virtuose che operano sul territorio (cfr. Comunità educante con i carcerati); osservazioni estremamente critiche giungono invece da parte del già citato CNCA* (si rinvia in proposito all’ampio documento formulato nel Luglio 2024). 
La lettura del testo dell’articolo 8 fa pensare a strutture aventi obiettivi ambiziosi e non limitati alla soluzione del problema del domicilio. E’ lecito in proposito il dubbio che la disposizione contenga in nuce una idea di esternalizzazione, oltremodo onerosa, e che comprenda l’attribuzione di obiettivi trattamentali propri, ancorché decisamente non realizzati, dell’istituzione carcere. Ci si riservano comunque ulteriori considerazioni all’atto della emanazione del decreto, anche per capire in prospettiva quali possano essere gli sviluppi della materia. Rimane la considerazione che una via, forse minimalista, ma efficace per ridurre il numero di persone in carcere con brevi fine pena sarebbe più semplicemente, quella di ridurre le preclusioni previste per la concessione all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a diciotto mesi (legge 199 del 2010) misura attualmente non applicabile a tutte le persone condannate per i reati di cui all’articolo 4 bis.
Attualmente essa riguarda 1136 soggetti provenienti dal carcere (dati tratti dal sito del Ministero alla data del 31 luglio 2024). Tali preclusioni, non limitate alla fascia più grave, ma estesa all’intera tipologia dei reati previsti dalla norma, rappresentano insieme al problema che attengono agli stranieri, il più grosso impedimento ad un più ampio ricorso a tale forma di detenzione, che si configura come la meno impegnativa per ciò che riguarda i controlli preliminari e l’iter di concessione.
*Già dirigente penitenziario

 *Nota:
All’art 8 Disposizioni in materia di strutture residenziali per l’accoglienza e il reinserimento sociale dei detenuti, è prevista l’istituzione presso il Ministero della Giustizia di un elenco delle strutture residenziali idonee all’accoglienza e al reinserimento sociale. Tale elenco sarebbe finalizzato a semplificare la procedura di accesso alle misure penali di comunità e agevolare un più efficace reinserimento delle persone detenute adulte. Queste strutture residenziali dovrebbero garantire servizi di assistenza, di riqualificazione professionale e reinserimento socio-lavorativo dei soggetti residenti, compresi quelli con problematiche derivanti da dipendenza o disagio psichico, che non richiedono il trattamento in apposite strutture residenziali riabilitative. Ci domandiamo a quali tipologie di strutture si stia facendo riferimento; per le persone con problematiche di dipendenza o di salute mentale sono previsti, infatti, servizi specifici nella rete del Sistema sanitario nazionale pubblico, e quando questi servizi sono offerti da “comunità” a gestione privata sono previsti processi di accreditamento delle stesse che prevedono requisiti strutturali e di personale dettati da normative regionali. Che relazione c’è fra le “strutture” citate nel DL e l’attuale rete delle comunità accreditate? Se l’intento è quello di definire un sistema di “strutture” fuori dall’accreditamento che ospitino tutte le persone, a prescindere dagli specifici bisogni, questo sarebbe uno scardinamento del sistema integrato pubblico-privato che garantisce interventi socio sanitari specialistici, a favore di situazioni probabilmente con un più alto numero di utenti, fuori dal sistema e a gestione completamente privata, di cui non sono chiare le finalità né le modalità di intervento e custodia. Si tratterà della terrificante riproposizione di spazi come i Centri di permanenza per i rimpatri applicata a tutti i detenuti? Si vogliono creare delle piccole carceri private?