Carceri, non c'è più tempo: amnistia e indulto

18 Jun 2025 Claudio Bottan antonella la morgia

Le carceri scoppiano e la politica sonnecchia. Nei giorni scorsi, complici le alte temperature e il sovraffollamento, ci sono state rivolte a Genova, Terni, Spoleto, Trapani, Aosta e Palermo Malaspina. In alcuni istituti manca puntualmente l’acqua, altri sono infestati da cimici e topi. Ovunque si registrano condizioni igieniche carenti e mancanza di personale a fronte di un continuo aumento della popolazione carceraria, alimentato soprattutto da persone con problemi di tossicodipendenza e patologie psichiatriche: un mix esplosivo che lascia intravedere un’estate bollente.

Nulla di nuovo sotto il sole secondo Rita Bernardini, presidente di Nessuno Tocchi Caino, che da domenica 15 giugno ha ripreso lo sciopero della fame affinché il Parlamento intervenga prima della pausa estiva con una legge che riduca il sovraffollamento nelle carceri. D’altronde l’aveva precisato la leader radicale quando aveva deciso di interrompere la protesta non-violenta che portava avanti ormai da 23 giorni: «Si tratta di una sospensione momentanea» aveva detto in occasione dell'incontro dal titolo "Affamati" organizzato da Voci di dentro lo scorso 15 maggio cui aveva partecipato con Gabriella Stramaccioni, già garante per i detenuti di Roma Capitale. Un gesto di riconoscenza di fronte all’inattesa apertura del Presidente del Senato Ignazio La Russa, condivisa dal Vicepresidente del CSM Fabio Pinelli, sulla proposta di legge Giachetti che prevede un aumento dei giorni di liberazione anticipata che tuttavia rimane in una situazione di stallo.

«Uno Stato credibile nei confronti dei detenuti è uno Stato che rispetta la Costituzione e le Convenzioni internazionali sui Diritti Umani che il nostro Paese ha sottoscritto. Questo cerco di dire con il mio sciopero della fame soprattutto a coloro che disconoscono questa mortificazione costante dello Stato di diritto - scrive Rita Bernardini - Non va bene la proposta Giachetti/Nessuno Tocchi Caino? Cambiategli nome e paternità! Certo, l’ideale sarebbe un indulto associato ad un’amnistia, cosa che oggi dicono persino coloro che sbeffeggiavano Pannella quando faceva i suoi prolungati scioperi della fame e della sete in nome dell’ “amnistia per la Repubblica”. Quello che dovrebbero fare tutte le parti politiche è – per carità di Patria – deporre per un attimo le armi». Si riconoscessero a vario titolo responsabili della situazione vituperosa in cui versa il nostro sistema penitenziario – ha detto recentemente il Professore dell’accademia dei Lincei Tullio Padovani - e solidamente si assumessero la responsabilità di un indulto accortamente modulato per dar corso ad un’effettiva riduzione della popolazione carceraria, per impedire che la galera si trasformi sempre di più in un’orrenda discarica di corpi ammassati. Si può fare subito tutto, e perciò deve essere fatto tutto, e subito.

Nel 2024 il nostro Paese ha dovuto registrare il record di detenuti che si sono tolti la vita e quest’anno – a ridosso di un’estate rovente, purtroppo siamo su una pessima strada con 37 suicidi e 81 detenuti morti per altre cause.

«Oggi, i detenuti non sono un pericolo, semmai sono in pericolo», afferma il prof. Andrea Pugiotto, Ordinario di Diritto costituzionale Università degli studi di Ferrara in occasione del convegno “Diritto e clemenza: che fare per il carcere?” citando l’ultimo report analitico del Garante Nazionale dei diritti dei detenuti che, al 30 maggio scorso, denuncia 62.723 ristretti a fronte di una capienza regolamentare di 51.297 posti, di cui solo 46.706 effettivamente disponibili. Ne risulta un indice di sovraffollamento pari al 134,29%: in media, per ogni 100 posti ci sono 134-135 detenuti. La curva è in salita (nel 2020 erano 10.499 in meno) e sarà spinta in su dall’inventiva dell’attuale XIX Legislatura, spregiudicata nel moltiplicare i reati, inasprire le pene, creare nuove aggravanti e inedite ostatività penitenziarie. «È solo questione di tempo-, dice Pugiotto. Senza un’inversione di tendenza, ci troveremo presto nelle stesse condizioni che costarono all’Italia, nel 2013, la vergogna di una condanna a Strasburgo per un sovraffollamento carcerario “strutturale e sistemico”, lesivo dell’art. 3 CEDU che – ricordo a tutti – vieta incondizionatamente la tortura e i trattamenti inumani e degradanti».

Che fare dunque? Bisogna trovare il coraggio di pronunciare due parole: amnistia e indulto, “una forma secolarizzata di clemenza”. «Nulla a che vedere con una concezione compassionevole del diritto e della giustizia penale: giuridicamente, essere clementi non significa essere buoni, perché il ricorso a una legge di amnistia e indulto non mette in gioco il cuore e le passioni, bensì la testa e la ragione - prosegue il professor Pugiotto - La clemenza collettiva è prerogativa esclusivamente parlamentare: non può essere introdotta dal Governo né può essere abrogata dal popolo per via referendaria. Proceduralmente, richiede un accordo trasversale tra le forze politiche, cioè un’assunzione di responsabilità collettiva nell’interesse della Repubblica. Allo sbadiglio senza sosta di deputati e senatori davanti a tali proposte, vorrei replicare – se posso – ricordando che, “in democrazia, i Parlamenti muoiono per suicidio” (Luciano Violante). Rinunciare ad esercitare una competenza di cui si ha il monopolio costituzionale è la modalità più veloce per farla finita. Siete ancora in tempo, per quanto tempo abbiate ancora. Dove, invece, non c’è più tempo è dietro le sbarre: spetta a voi, deputati e senatori, il compito di fermare la strage di vite e di diritti che si consuma nelle carceri italiane»