Siamo nel tempo in cui il passato non passa: ce lo mostra bene la fotografia che abbiamo messo in copertina scattata l’11 agosto 2022 da Fatima Shbair, 28 anni, palestinese di Gaza, fotografa autodidatta che da anni racconta la guerra, la Nakba (“catastrofe”), i funerali, le terre occupate. Ce lo mostrano le ultime immagini che arrivano dalla Striscia ad opera dei giornalisti sopravvissuti che documentano le migliaia di palestinesi in fuga sotto le bombe di Israele, oggi come tantissime altre volte nella storia martoriata di questo popolo. Uno scatto, tanti scatti, nei quali sono di nuovo in mostra azioni mostruose. Mostruose come quelle già compiute una ottantina di anni fa anche dalla Germania nazista.
Siamo nel tempo nel quale si riafferma - senza più barlumi di coscienza, perché coscienza bandita dall’umano - il mondo della tecnica. Una tecnica capace, come è stata, di costruire l’atomica che distrusse Hiroshima e Nagasaki. E ancor oggi capace - con missili, droni, satelliti - di colpire la Striscia di Gaza provocando oltre 65 mila morti, ma che sono invece ben 180 mila secondo la rivista scientifica Lancet. Tutte vittime di un genocidio e non appartenenti a un esercito. Tutte vittime civili. O ancora, di essere capace, questa nostra tecnica, questo nostro “progresso”, di fare morti e feriti civili nella guerra russo-ucraina.
Siamo nel tempo in cui l’indifferenza è diventata colpa. Incolpevolmente colpevoli come affermava il filosofo Günther Anders e come aveva scritto nella sua prima lettera al maggiore Usa Claude Eatherly che diede il via ai bombardieri con la frase “il cielo è sereno su Hiroshima”. Quel Claude Eatherly che per Anders è indicato come “simbolo” purtroppo “del futuro”, simbolo di umani “incolpevolmente colpevoli” perché diventati tutti obbedienti, figli del produttivo e efficiente Eichmann più che di Adolf Hitler, figli dell’organizzazione tecnica, dei banali burocrati del male. Senza più etica, incapaci di vedere dove portano tutte le nostre azioni. E condannati come pazzi o come nemici non appena portano a galla appena un po’ di coscienza (come appunto Eatherly che rifiuta la medaglia e va in cerca del castigo). Quella coscienza che ci fa inorridire alla vista dei dati sull’export di strumenti di guerra che lo scorso anno è arrivato a quasi 8 miliardi. E che ha stimolato la Global Sumud Flotilla a fare quello che nessuno ha avuto il coraggio di fare.
Siamo nel tempo in cui quel filo rosso che collega la soluzione finale all’atomica e l’atomica fino a Gaza ci fa intravvedere anche un altro tempo (e ne parlano in molti articoli i nostri collaboratori): è il tempo del carcere, della disintegrazione dell’uomo lenta e inesorabile, il tempo rappresentato dalle leggi contro i migranti, dalle leggi contro le proteste dentro e fuori dal carcere trasformate in gravissime e inaccettabili rivolte, dall’indifferenza di come si vive nelle celle e dove, per porre fine alla sofferenza, le persone si tagliano o si uccidono usando bombolette del gas, lacci di scarpe, corde di fortuna.
Mentre poco alla volta l’umano che resta in noi (anche nei vertici del Dap, anche tra gli uomini dei governi del mondo) si frantuma in mille piccoli pezzi, quasi glitchati come quando le nostre Tv o i nostri smartphone perdono il segnale. Come sono sempre più glitchate la nostra memoria e la nostra mente impossibilitate a collegare i fatti, a cogliere i dettagli, soprattutto incapaci di distinguere colpa e responsabilità. Noi, sonnambuli, ciechi e deresponsabilizzati dopo un lungo percorso che ci ha portato ad accettare la de-umanizzazione dell’altro. L’altro che, al pari della nostra coscienza, è davvero “l’ultima vittima di Hiroshima”.