
Nel giro di qualche giorno abbiamo avuto notizia dell'epurazione da parte di Meta nei confronti di due giornalisti. Mariano Giustino, una firma di Radio Radicale, corrispondente dalla Turchia, collaboratore di diversi quotidiani e settimanali, "in particolare dopo due post, uno sull'uso del caos da parte di Hamas, l'altro sulla gogna in Turchia per i sindaci oppositori" scrive il diretto interessato. Stessa sorte per Damiano Aliprandi de Il Dubbio, uno dei più preparati, vivaci e indipendenti scrittori di giustizia e carceri a detta di molti addetti ai lavori.
Per quanto riguarda Mariano Giustino, Meta ci ha ripensato. “Cari amici, i miei account sono stati ripristinati! La piattaforma Meta è tornata sui suoi passi e ha deciso di ripristinare i miei account Facebook e Instagram, grazie alla pressione di tutti voi – scrive oggi Giustino-. Ringrazio di cuore tutti coloro che mi hanno sostenuto e hanno fatto sentire la loro voce, non in mia difesa, ma in difesa della libertà di informazione. Non è una vittoria perché come ho precisato questa censura non riguarda solo me, riguarda la libertà di informazione e di espressione, riguarda tutti”.
Ora bisogna tenere alta l’attenzione, e la pressione, sulla vicenda di Damiano Aliprandi, "in castigo" da un paio di settimane. “Chi ha deciso di oscurarlo da Facebook? Chi ha premuto il pulsante che ha fatto sparire un giornalista vero, una voce scomoda, da una piattaforma che si spaccia per libera ma che risponde a logiche opache, algoritmi anonimi e centri di potere senza volto?” - sono le domande che si pone la redazione de Il Dubbio riguardo al collega-. Questa non è una semplice sospensione dell’account: è un atto di censura arbitraria. È il segno evidente che ci troviamo di fronte a colossi digitali – aziende private, fuori da ogni controllo democratico – che decidono chi può parlare e chi no. Nessuna legge, nessuna trasparenza, nessun contraddittorio. Un sistema che fa impallidire il vecchio conflitto di interessi di berlusconiana memoria: qui non parliamo più di media tradizionali, ma di piattaforme che governano l'informazione globale, che influenzano l'opinione pubblica e gestiscono flussi economici enormi senza dover rendere conto a nessuno”.
“Chi ha paura di Damiano Aliprandi che parla del Dossier Mafia appalti in tv a Far West e pochi giorni dopo viene spento sulle piattaforme di Meta?” - si chiede Simona Giannetti, avvocato radicale. Quanto potere hanno ‘le cavallette’, forse anche dei bot creati ad arte da certa propaganda contro la verità?”. Non si fanno attendere le social-risposte di quanti vorrebbero Damiano Aliprandi in galera per il semplice fatto di averne censurato i deliranti commenti, un esercizio di stile scambiato per affronto personale e limitazione di una pseudo libertà di espressione.
Intanto si moltiplicano gli attestati di stima per uno tra i giornalisti più attivi, nonché profondo conoscitore delle dinamiche che riguardano gli istituti penitenziari e la giustizia, oltre ad essere un “fastidioso” analista dei meccanismi che ruotano intorno ai processi sulla mafia e che, forse proprio per questo, è inviso a molti. Una penna libera, che con le sue analisi quotidiane - spesso affidate a Facebook - apre uno squarcio sulla cortina di fumo che avvolge un sistema opaco e autoreferenziale qual è il carcere. “Ci pensiamo noi a condividere gli articoli puntuali e precisi di Damiano Aliprandi” – scrive, su Facebook, la leader radicale Rita Bernardini.
“Che questa ennesima censura sia il risultato di una malintesa applicazione di normative, di richieste specifiche di governi stranieri, di un algoritmo, magari abilmente manipolato da agenti di questi regimi, o da operatori dei suddetti social, riteniamo responsabilità di Meta garantire sulle sue piattaforme la libertà di informazione e di espressione di ogni giornalista o cittadino che non violi la legge” scriveva il Cdr di Radio Radicale. Una considerazione che noi di Voci di dentro facciamo nostra e condividiamo in nome della sacrosanta libertà di espressione, un diritto che difendiamo quotidianamente con i laboratori all’interno degli istituti penitenziari, e anche fuori, pubblicando una rivista libera e senza padroni.