
Mentre a Bruxelles e dintorni è un susseguirsi di vertici di guerra su difesa-riarmo-Russia-Ucraina, in Medioriente continua e si completa la distruzione di Gaza, un massacro dopo l’altro (e non solo a partire dalle atrocità di Hamas il 7 ottobre). Della tragedia a Gaza si è parlato a Padova alla presentazione di “J’accuse”, il libro di Francesca Albanese, giurista, Relatrice Speciale dell’Onu per i Diritti Umani nei Territori occupati in Palestina.
“Un minuto di silenzio per le vittime del naufragio di Cutro del 26 febbraio 2023, ha aperto a Padova nella Sala Grande del Centro Universitario la presentazione di J’accuse il libro di Francesca Albanese, giurista, Relatrice Speciale dell’Onu per i Diritti Umani nei Territori occupati in Palestina, alla quale Israele impedisce arbitrariamente l’accesso. Al centro del dibattito la difesa e il rilancio “della tanto vituperata e delegittimata Onu, che - come avverte il professor Marco Mascia - è ciò che gli Stati membri vogliono che sia, e al di fuori del quale resta solo la forza, cioè la guerra".
Ho scritto questo libro – dice Francesca Albanese – come bussola per orientarsi, al di fuori della logica binaria, (da che parte stai?), specialmente per chi ha meno di trent’anni e non ha vissuto e non conosce la storia, come l’abbiamo vissuta noi a partire dalla strage di Sabra e Shatila (1982), tremila palestinesi trucidati. “Quanti 7 ottobre hanno vissuto i palestinesi? si chiede la Relatrice Onu. Solo dal 2008 al 7 ottobre, data della strage di Hamas (1200 morti ,240 ostaggi) che ha rappresentato “uno squarcio profondo tra israeliani e palestinesi”, l’esercito israeliano ha attaccato 5 volte dal cielo e dalla terra Gaza sotto assedio, i morti sono stati 6407. Il libro di Francesca Alabanese, secondo la filosofa Roberta De Monticelli, è “l’anima del diritto che si rivolge alla comunità, cioè a tutti noi, perché si agisca affinché la legge non si appiattisca sulla forza, sulle ragioni del più forte, cioè non dia legittimità alla guerra”. Il libro J’ Accuse è, secondo il Presidente del Centro di Ateneo per i Diritti Umani, Marco Mascia, un fondamentale contributo alla verità, tanto più importante anche perché dà voce a chi non ce l’ha, i palestinesi.
Sono sette le parole chiave - Terrorismo, Disumanizzazione, Occupazione, Colonialismo, Apartheid, Democrazia, Carceralità - attraverso le quali Francesca Albanese affronta la questione palestinese, a partire dai fatti e dal diritto. “La verità prima di tutto” è il titolo del primo capitolo di J’Accuse. Ed è quello che si prova a fare nel dibattito a Padova nella sala gremita di oltre duecento persone di tutte le età. Nonostante fuori di qui – nota De Monticelli - l’informazione alimenti una sorte di “violenza epistemica affinché si ignori la storia, non si contestualizzino i fatti, così da essere indotti a tacere". E ancora: "Violenza epistemica è anche corruzione del linguaggio, e spetta a noi ripulirlo dalle fuorvianti, spesso false, interpretazioni che fanno di ogni critica un atto di antisemitismo, vedi anche il decalogo istituito dall’ International Holocaust Remembrance Alliance (Ihra) sull’antisemitismo ad uso e consumo dell’autocensura".
Il diritto internazionale - afferma Francesca Albanese - non è un’opinione, è un obbligo, sancisce quello che si può fare (la Politica) e quello che non si può fare. Nei territori occupati illegalmente dal 1967 da Israele, vige un regime di Apartheid, che si manifesta principalmente nel dualismo legale, i palestinesi sono soggetti alla legge militare, i coloni al rito civile, una sorta di licenzia di commettere reati, fino all’omicidio, ai danni dei palestinesi. E l’Apartheid è un crimine, si verifica quando atti inumani o disumani sono perpetrati nel contesto di un regime di oppressione e dominio istituzionalizzato. E come crimine viene sanzionato dal diritto penale internazionale. L’Apartheid è: confinamento, controllo militare, privazione delle risorse, mare, terra, acqua, cibo, tutto in mano all’esercito di Israele, arresti di massa, un milione dal 1967, 13 mila bambini in carcere dal 2010. L’apartheid è “la spina dorsale del colonialismo di insediamento di Israele nei territori occupati illegalmente, secondo tutte le risoluzioni dell’Onu, disattese dagli Stati e dai governi italiani degli ultimi 30 anni almeno. Solo la fine dell’apartheid e del colonialismo, possono aprire lo spazio all’autodeterminazione del popolo palestinese e quindi alla pace”.
Trentamila morti, quello che sta accadendo in questi mesi a Gaza, rasa al suolo dalle bombe e dai carri armati che non risparmiano nulla e nessuno, configura il crimine di genocidio, che la Corte internazionale di giustizia ha deciso di ammettere e approfondire respingendo il ricorso dei legali israeliani. Alla domanda se quella di Israele si può definire una democrazia, Albanese risponde: “Esiste una democrazia formale e una democrazia sostanziale; è vero, in Israele si vota, ma non votano i cinque milioni di palestinesi, esiste un doppio standard tra gli stessi cittadini di Gerusalemme. Dal 2018 la riforma costituzionale voluta da Netanyahu, ha trasformato definitivamente Israele in uno stato per soli ebrei. Gli altri sono cittadini di serie b. Questa non è democrazia”.
Il professor Enzo Pace non nasconde il proprio pessimismo. Accusa Hamas di avere pesanti responsabilità sul fallimento dell’ipotesi dei "due popoli due Stati", oggi impossibile per l’involuzione di Israele da Stato laico a Stato che si fonda su presupposti etno-teocratici plasticamente rappresentati da due personaggi del fondamentalismo religioso, che hanno le leve del potere nel Governo di Israele: il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir e il ministro delle Finanze Bezael Smotrich, con i quali “ogni ragionamento è impossibile”. Enzo Pace ha manifestato qualche dubbio sul termine “apartheid”. “Manca il requisito raziale. Preferisco il termine pulizia etnica”.
Marco Mascia si chiede “perché l’Occidente deve condannare l’invasione della Russia di Putin e non Israele con la Palestina? Perché le armi a Kiev e non ai palestinesi? Navalny è un eroe e Assange no. È ora di finirla con il doppio standard. Autodeterminazione, diritto all’esistenza, prevenzione del genocidio, identità culturale, sono i diritti irrinunciabili del popolo palestinese". Quindi a Gaza deve operare un soggetto internazionale, secondo l’articolo 2 paragrafo 7 della Carta delle Nazioni unite, che, ricordo, prevale sugli stati membri. Il governo italiano deve scegliere se vuole stare dalla parte del diritto o dalla parte della guerra. Ora sta dalla parte della guerra. L’Unione Europea ha perso la bussola. Le prossime elezioni possono essere un modo per ritrovarla, ma non nel nome di Ursula Von Der Leyen.
Il dibattito si è chiuso tra domande e interventi del pubblico
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