La notizia ci riguarda e soprattutto riguarda il carcere di Pescara: dai giornali locali si apprende che la Procura della Repubblica ha notificato alla direttrice del carcere Armanda Rossi la chiusura delle indagini nei suoi confronti in seguito a numerosi esposti dei detenuti e dopo le segnalazioni della magistratura di Sorveglianza per le diverse anomalie riscontrate nell’istituto ai danni dei detenuti e dei loro diritti (permessi revocati senza reali motivi, ordini di perquisizione con denudamento completo di un detenuto, ritardi nell’accredito del denaro portato dei parenti, cibo scadente, in tutto una ventina di episodi, come scrivono i quotidiani).
Ora, con la chiusura delle indagini la direttrice Armanda Rossi avrà 20 giorni di tempo per inviare la sua nota difensiva, poi la Procura deciderà o meno per il rinvio a giudizio. Si saprà a breve. Ma al di là del risultato e che riguarda personalmente la direttrice, resta la realtà: ancora una volta si demanda alla magistratura la soluzione dei problemi, di nuovo è la magistratura che deve intervenire individuando un colpevole (capro espiatorio?) per responsabilità che non sono soltanto individuali. Ma sono soprattutto strutturali e comunque comuni a tante carceri italiane. Io stesso lo scorso anno dopo una visita con Nessuno Tocchi Caino in una conferenza stampa avevo pubblicamente denunciato la situazione nel carcere di Pescara: 401 detenuti di fronte ad appena 276 posti, topi nelle celle, muffe alle pareti, perdite d’acqua sotto i lavandini, areazione insufficiente, poca luce, corridoi pieni di giovani e vecchi, poveri e malati, in stampelle, ciabatte e accappatoio, celle con 6 brande e solo 4 sgabelli, mancanza di lavoro e pochissime attività.
Tornando al caso Pescara e all’inchiesta della Procura, è da oltre due anni che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria è a conoscenza delle disfunzioni e inefficienze e in questi due ultimi anni sono state diverse le ispezioni dei funzionari. A cosa sono servite le indagini amministrative partite da Roma? Perché il Dap non ha risolto subito? E perché mai l'opinione pubblica deve venire a sapere queste cose solo perché intervengono le Procure? E che ruolo ha avuto l’ex garante regionale dei detenuti professor Cifaldi? Non sapeva delle violazioni dei diritti, diritti che invece doveva garantire? E che cosa dire dell’informazione locale che raramente ha preso in considerazione i comunicati di Voci di dentro “fidandosi” solo delle veline delle fonti ufficiali?
Domande che, anche non trovando risposta, offrono lo spunto per dire che il carcere è diventato o meglio è sempre stato un luogo oscuro, segreto, nascosto alla pubblica opinione, raccontato in modo distorto dai media e dove la trasparenza è un tabù, dove i diritti delle persone ristrette sono quotidianamente negati, e dove tutto si regge su un equilibrio fatto di ordini e punizioni e dove non esiste e non si ammette il controllo democratico. Un regime che in nome della sicurezza disconosce la Costituzione italiana (art. 27), nega la Legge del 1975 n. 354 dell’O.P. (art. 4), ignora circolari e raccomandazioni europee e trasforma il carcere in un luogo dispotico, al di fuori della legge, e nel quale nessuno se non gli addetti ai lavori ha voce in merito.
Come già detto, il carcere di Pescara ha 273 posti regolamentari, mentre oggi i detenuti sono diventati oltre 430 e il Dap continua a spostare a Pescara detenuti provenienti da altre parti d’Italia, contravvenendo anche all’art. 42 dell’Ordinamento penitenziario secondo il quale i trasferimenti devono avvenire negli istituti più vicini alla dimora della famiglia. Non solo, al termine di una recente ispezione i funzionari inviati dal Dipartimento si misero a misurare i centimetri delle celle concludendo il loro lavoro dicendo che aggiungendo un letto a castello qui e un altro lì si sarebbero potuti far arrivare altri detenuti. Anche psichiatrici, perché sulla carta l’istituto ha un reparto ad hoc con 8 posti letto. Fingendo di non sapere che quel reparto ha solo la scritta “Reparto psichiatrico” e che in realtà è identico a tutte le altre celle e che il personale è ridotto ai minimi termini.
Intanto, in attesa che si plachino le acque, perché così andrà, così come sempre va nelle carceri italiane, il Dap avrebbe disposto che il direttore di Chieti, per tre giorni alla settimana dovrà andare a reggere il carcere di Pescara. Per mettere le toppe… come sempre si fa. Senza alcuna visione della complessità di un problema che è sempre meno penale e sempre più sociale. E che viene governato sempre più da una amministrazione che pensa a soffocare diritti e togliere l’aria accentuando restrizioni nel 41 bis e nella stessa "Alta sicurezza" che viene considerata sempre più come regime e non come circuito come è realmente. Tutto ciò “vendendo” alla stampa e alla pubblica opinione bufale di nuove carceri, nuovi padiglioni, nuovo personale. Mentre i suicidi (che sono in realtà omicidi di uno stato cattivo e assente) restano un fardello insopportabile solo a parole. E la politica del non far nulla, del capro espiatorio e della delega alle Procure è l’unica azione di governo.