
Pubblichiamo le lettere che abbiamo inviato al Presidente Mattarella in occasione del 25 aprile firmate dal presidente di Voci di dentro Francesco Lo Piccolo, dalle persone che partecipano ai laboratori dell'Associazione nel carcere di Chieti e nel carcere di Pescara e dalle volontarie di Voci di dentro.
Illustrissimo Signor Presidente della Repubblica, Onorevole Sergio Mattarella,
siamo Voci di dentro, un’associazione di volontariato attiva nelle carceri di Chieti, Pescara e Lanciano. Oggi, a pochi giorni dall’ottantesimo anniversario del 25 aprile, data storica e fondante, ci permettiamo di inviarLe questa nostra lettera con la quale vogliamo ribadire che il senso profondo e il bisogno di Liberazione, come storia passata e come perenne speranza, ci coinvolgono in prima persona da volontari, detenuti e ex detenuti.
Il 25 aprile 1945 ha chiuso un periodo buio: da quella data e dall’impegno dei tanti che hanno combattuto il nazifascismo è iniziato per la Nazione un percorso di pace e di democrazia attraverso numerose tappe, a cominciare dal referendum istituzionale del 2 giugno 1946, il diritto di voto alle donne e la nascita della Repubblica, al quale è seguito il 22 giugno il provvedimento di amnistia Togliatti approvato dal governo De Gasperi per il superamento (nel segno della riabilitazione e dell’assoluzione) delle violenze della guerra civile.
Tappe necessarie che hanno poi portato all’approvazione della Costituzione italiana, una tavola di principi e di valori, di diritti e di doveri, di regole e di equilibri, che costituiscono la base del nostro stare insieme. Una Carta che guarda all’unità del Paese, ai valori che avevano ispirato la Resistenza e che inducevano alla ricerca di una nuova etica civile comune, attenta alla persona (ancor prima che sia cittadino) con i suoi diritti inviolabili e i suoi doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (art. 2). Valori di pace e processi di riappacificazione che oggi, a 80 anni dalla Liberazione, è più che mai necessario rilanciare anche di fronte ai troppi scenari di guerra sempre più vicini.
Ben conoscendo il Suo impegno e la Sua attenzione al problema delle carceri più volte da Lei manifestati, ci permettiamo - con questa nostra lettera - di sottolineare che il processo di riappacificazione deve interessare anche le persone che sono in carcere le quali hanno diritti che non vengono mai meno e che una volta espiata la pena devono a pieno titolo trovare possibilità di reinserimento sociale e lavorativo. Principi ribaditi anche dalla Costituzione, all’art. 27 e all’art. 3 nel suo richiamo a non discriminare in ragione delle condizioni personali e sociali, qual è la privazione della libertà: principi purtroppo oggi poco rispettati.
La gravità della situazione è nota.
Tantissimi detenuti trascorrono il loro tempo nell’ozio, senza programmi di inserimento come i corsi professionalizzanti: nelle carceri ci si destreggia tra voglia di fare e organici insufficienti che non permettono alcuna vera attività trattamentale. Un piccolo dato: nel ‘75 c’erano circa 30 mila detenuti ed erano previsti 1600 educatori. Oggi i detenuti sono più di 62 mila e gli educatori sono circa 800. Ci stiamo avvicinando alle condizioni che nel 2013 videro l’Italia condannata dalla Corte Europea per trattamenti inumani e degradanti nei confronti dei reclusi: vogliamo subire passivamente l’onta di un’ulteriore condanna per tortura?
E, ancora, troppe persone sono in carcere con pene residue senza poter accedere alle misure alternative previste dalle Leggi dello Stato, determinando così un indice di sovraffollamento oltre il 133% che, associato a un sistema sanitario allo sfacelo, determina una disparità evidente tra liberi e ristretti. È altissimo il numero dei suicidi in carcere - venti volte più che nella società libera - come pure quello delle morti “per cause da accertare”.
La nostra esperienza di volontariato ci porta ad incontrare tantissime persone che restano in carcere per effetto dell’articolo 58 quater O.P., che ostacola la concessione di misure alternative per ben tre anni, oppure persone condannate a una pena infinita a causa della normativa ex Cirielli sulla recidiva che aumenta sistematicamente le pene indipendentemente dai percorsi intrapresi all’interno degli istituti successivamente alla commissione del reato.
Nel frattempo il carcere resta un mondo abbandonato, pieno di tempo vuoto al quale seguono, dopo la pena, solo stigma e pregiudizi che impediscono il reinserimento.
Egregio Presidente, l’amnistia Togliatti ha contributo a riappacificare l’Italia dopo gli anni bui della guerra. Ma un nuovo buio è calato nell’attuale periodo, caratterizzato da logiche di guerra anche nella società le cui tensioni e divisioni vedono solo risposte che escludono, marginalizzano, condannano l’altro come nemico. In questo buio, chiediamo una luce.
Ci permettiamo perciò di chiederLe, anche per le persone detenute, un messaggio forte e chiaro al Parlamento affinché si adotti senza timore un provvedimento di clemenza che aiuti e “protegga” chi è stato in errore permettendogli di tornare a sperare. E così, in questo Ottantesimo, anche per le persone detenute potrebbe finalmente avviarsi un processo che non discrimina e, al contrario, aiuta al reinserimento cambiando le cose dentro e fuori dal carcere.
Nel ringraziarLa per l’attenzione, Le inviamo i nostri distinti saluti.
Francesco Lo Piccolo
Presidente di Voci di dentro OdV
*****
Egregio Signor Presidente,
siamo un gruppo di ragazze volontarie di Voci di dentro, cosa che ci permette di svolgere diverse attività all'interno degli istituti penitenziari di Chieti e Pescara. Le scriviamo con profondo rispetto, ma anche con una crescente preoccupazione. Durante la nostra esperienza abbiamo avuto modo di osservare da vicino le condizioni di vita delle persone detenute, l'impegno degli operatori penitenziari, nonché le numerose difficoltà strutturali e organizzative che affliggono il sistema carcerari.
Abbiamo incontrato uomini e donne spesso dimenticati dalla società, privati non solo della libertà, ma anche della dignità. Sovraffollamento, carenza di personale, strutture fatiscenti e scarsità di programmi di reinserimento sono realtà quotidiane. Ci siamo rese conto di quanto sia facile, per chi è dentro, sentirsi abbandonato, e di quanto il carcere rischi di diventare un luogo di esclusione permanente anziché uno spazio di vera riabilitazione. Crediamo fermamente che la giustizia non possa prescindere dall’umanità, e che una società giusta si misuri anche dal modo in cui tratta chi ha sbagliato. Il carcere dovrebbe rappresentare un’occasione di riscatto, non una condanna alla marginalità eterna.
Nel nostro lavoro svolgiamo inoltre progetti di sostegno al reinserimento sociale di persone che hanno scontato pene detentive e le scriviamo per porre attenzione sul fatto che siamo profondamente colpite dalle difficoltà quotidiane che incontriamo nel tentativo di restituire dignità e opportunità a chi ha già pagato il proprio debito con la giustizia. Ci scontriamo costantemente con uno degli ostacoli più gravi e silenziosi: il pregiudizio sociale e lo stigma del galeotto. Ex detenuti che cercano un impiego vengono sistematicamente respinti; altri non riescono nemmeno a trovare un’abitazione, rimanendo esclusi da ogni possibilità di costruirsi una nuova vita. Anche quando mostrano impegno, buona volontà e desiderio sincero di riscatto, vengono giudicati e respinti, come se fossero destinati a non uscire mai davvero dalla loro pena. Questo fenomeno, che si traduce in esclusione e invisibilità, è in netto contrasto con i principi della nostra Costituzione. Non si può parlare di reinserimento se non esiste una società pronta ad accogliere, e non si può parlare di giustizia se la condanna si trasforma in una condizione a vita.
Come cittadine e volontarie, ci sentiamo impotenti davanti a porte che si chiudono, davanti a datori di lavoro e proprietari di case che rifiutano qualsiasi possibilità, alimentando così un circolo vizioso che porta solo a nuove marginalità e, spesso, alla recidiva.
Le chiediamo, Signor Presidente, di continuare a portare avanti con fermezza e sensibilità il messaggio di una Repubblica che non dimentica nessuno, e che crede nelle seconde possibilità come fondamento della convivenza civile. Le chiediamo di dar voce a chi non ha voce, e di promuovere una cultura del reinserimento che non resti solo nei codici, ma viva davvero nella nostra società.
La ringraziamo per l’attenzione, nella speranza che le nostre parole possano trovare ascolto nelle istituzioni e in tutti i cittadini.
Carlotta Cavarra, Costanza Cardinale, Alessandra Delmirani, Claudia D’Ingiullo, Angela Mantovani, Benedetta Speranza