Stato di guerra, il nuovo numero della rivista

24 May 2024 Redazione

Si chiama Stato di guerra il nuovo numero di Voci di dentro. 72 pagine dove affrontiamo il rapporto tra la contrazione dello stato sociale e l'avvicinamento dello stato di guerra. In apertura Francesco Blasi scrive: "Se i diritti e le garanzie diminuiscono, la salutare biodiversità delle opinioni e delle visioni del mondo si estingue per fare posto a parole d'ordine che schiacciano tutti in nome di una emergenza indiscutibile, di un allarme che individua nemici da odiare e combattere".

In questo numero Vincenzo Scalia centra il suo discorso su cosa nasconde lo stato di polizia che lentamente ma con regolarità si insinua in Italia: la volontà di imporre con la forza verità che l'opinione pubblica fatica, fortunatamente, ad accettare. E' uno Stato, il nostro, scrive Scalia, "che manda in soffitta definitivamente lo Stato sociale, così come lo abbiamo conosciuto dal dopoguerra agli anni Ottanta, che si prefiggeva di integrare strati sempre più vasti della popolazione nel godimento delle prerogative della cittadinanza. Ma, peggio ancora, che rischia di essere peggiore dello Stato penale. Roberto Reale in Cosa c’è dietro le guerre esamina la correlazione tra l’economia e la politica del riarmo galoppante e il taglio della spesa sociale. Andrea Cozzo in una appassionata difesa del diritto alla chiarezza invoca la svolta verso un “giornalismo di pace” centrato sugli interessi di tutti. Sul legame tra guerra e carcere, punte di un iceberg nel quale converge un unico sistema di potere e di controllo, interviene Giuseppe Mosconi che sviscera le interazioni tra diritto e violenza citando giuristi del calibro di Jacob e Schmitt, enunciatori rispettivamente del “diritto penale del nemico” e del paradigma “amico-nemico”. Il giornale racconta, infine e come sempre, il mondo carcerario attraverso le testimonianze dei detenuti e di quanti al carcere dedicano una instancabile attività di impegno. Claudio Bottan intervista l’ex ministro della Giustizia Paola Severino sulle prospettive di un ritorno al carcere come luogo di rieducazione e premessa di reinserimento nella società. Tema quest’ultimo affrontato da Antonio Gelardi, già dirigente Dap, che ricorda le indicazioni dell’ex capo Renoldi “Polizia fuori dal carcere, al loro posto personale di relazione”.

Parole di saggezza nello sconfortante quadro attuale fatto di sovraffollamento delle celle e di diritti dietro le sbarre che arretrano di fronte a una orribile offensiva securitaria. Un’offensiva che è; appunto la fine dello Stato sociale (da inclusivo a escludente) per l’avvio di uno stato di guerra tra rivalità senza fine, paure, insicurezze, sentimenti di odio e azioni di criminalizzazione della solidarietà e che, come scriveva Renè; Girard, convergono sulla vittima di turno, la sola vittima possibile, il capro espiatorio, individuo o popolo, lo scarto che deve pagare al posto di altri, non perché sia il colpevole, ma perché; diventa il nemico contro il quale la comunità trova l’accordo. Lo abbiamo visto, lo stiamo rivedendo.