Troppo facile dire suicidi

05 Nov 2024 Francesco Lo Piccolo

(Questo articolo è pubblicato sul numero di Ottobre della rivista Ditutticolori edita dalla Coop L'accoglienza. E' stato scritto l'11 ottobre. Oggi i morti sono 79.)

Dall’inizio di quest’anno, all’11 ottobre nelle carceri italiane ci sono stati 76 “suicidi” e 24 morti per cause in corso di accertamento.  Sette di questi avevano meno di vent’anni e diciotto tra i 20 e i 30 anni. Giovani e giovanissimi rinchiusi in carcere e abbandonati a se stessi, dimenticati. Sfogliando il dossier di Ristretti si scopre anche che erano quasi tutti stranieri: tunisini, marocchini, egiziani... 
Fedi Ben Sassi era arrivato in Italia dalla Tunisia nel 2015, aveva 11 anni. Viaggio in nave nascosto sotto un camion in cerca di fortuna. Vita non facile, né prima e né dopo, vita di strada, espedienti, furtarelli, spaccio… il passaggio alla tossicodipendenza è diventato quasi una tappa obbligata. Era dentro dal 2022 per la rapina di un telefonino. Ma sebbene avesse scontato la sua pena, restava in una cella di Sollicciano per vecchi reati compiuti ancora da minorenne. Non ce l’ha fatta a resistere.  Leonardo, volontario dell’associazione Pantagruel ricorda: “Aveva addosso una tuta e gli è stato chiesto se con queste temperature non avesse caldo. Ha risposto “tanto a me cosa importa”. L’hanno trovato impiccato il 4 luglio.
Senza soldi in tasca e con solo un fagotto sulle spalle, Oussama Darkaoui era partito nel 2019 da Mouhammadia, 25 chilometri da Casablanca. Soprannominato Messi perché era bravo a giocare a calcio, ha terminato la sua vita nel Cpr di Potenza, dopo una vita di stenti in Spagna, in Francia, in Germania. Penultima tappa Napoli operaio in nero ai mercati ortofrutticoli. Clandestino. Irregolare. Non aveva nemmeno precedenti penali, eppure è finito nel Cpr, detenuto, e poi trovato morto, uno dei morti le cui cause sono da accertare. Era il 5 agosto.
Dall’inizio dell’anno tra i morti in carcere per “suicidio” ci sono anche anziani e persino malati: 14 persone erano ultra sessantenni, tre avevano passato i settant’anni. Per lo più italiani, storie diverse l’una dall’altra. E poi ci sono coloro che si sono uccisi mentre erano in isolamento o in sciopero della fame.  
Ma continuare a indagare sulle realtà di questa orribile e continua tragedia serve ormai a poco, restano fatti che hanno in comune il precipitare di vicende individuali, la sofferenza, ma non solo una sofferenza individuale, in comune qui c’è l’invivibilità del carcere, la mancanza di personale adatto a comprendere e a curare, la scarsità delle risorse, il sovraffollamento che è in realtà l’accatastamento di corpi, in definitiva la tortura di un sistema sbagliato.
Davvero suicidi? Più volte l’ho scritto e detto: troppo facile parlare di suicidi, troppo facile anche scriverlo: nei titoli dei giornali la parola suicidio è breve, non consuma spazio, soprattutto non occupa il gusto spazio, quello della responsabilità etica della società e delle persone in questa nostra società. E solleva dalla responsabilità uno Stato che ha trasformato il carcere in una scena del crimine; appunto il luogo dove si compie il delitto: la morte di persone per le quali - pur colpevoli di reati - il nostro Paese non prevede in alcun modo la pena di morte. 
Queste 76 morti e quelle degli anni passati, le morti di Fedi Ben Sassi e di Oussama Darkaou, come pure quelle degli agenti di polizia penitenziaria (sette dal 1° gennaio 24 a oggi) svelano tutte il paradosso dell’istituzione carcere (peraltro noto a coloro che si occupano di carcere e giustizia, eccetto i politici che ragionano per interesse elettorale). Un paradosso rappresentato ad esempio dall’idea di voler fare rieducazione in un ambiente chiuso e isolato, vietando a coloro che hanno compiuto un reato il contatto con l’esterno “virtuoso” e confinandoli in un luogo spesso malsano tra umiliazioni e degradazioni, spoliazione di ruoli e mortificazione fino alla cancellazione dell’identità. Mostrando così il vero volto del carcere, luogo dove si materializza il suo DNA che è la violenza, dove viene meno la dignità della persona e dei suoi diritti (affetti, salute, lavoro), e nella quale appare solo e unicamente la fine della speranza. E di una umanità. (Francesco Lo Piccolo)