Suicidi e sovraffollamento, nessuna tregua per le carceri

18 Mar 2025 Claudio Bottan imagoeconomica

L’ultimo in ordine di tempo è un italiano di 58 anni. Si è tolto la vita ad appena 48 ore dal precedente suicidio nello stesso carcere di Verona-Montorio dove si trovava dal giorno prima. “Continua la scia di morte nelle carceri. A livello nazionale, sale così a 19 la tragica conta dei morti di carcere e per carcere nel 2025, cui bisogna aggiungere un operatore” dice Gennarino De Fazio, Segretario Generale della UILPA Polizia Penitenziaria. “16mila reclusi oltre i posti disponibili e più di 18mila agenti mancanti alla Polizia penitenziaria, uniti a deficienze strutturali, logistiche e organizzative, costituiscono un mix esplosivo che lungi dal fare delle prigioni luoghi di recupero e rieducazione le trasformano in strutture di mera espiazione e morte. Basta guardare ai più elementari indicatori numerici, checché ne dicano il Guardasigilli, Carlo Nordio, e il Governo Meloni”, prosegue De Fazio.

I numeri sono impietosi: Verona, con 595 reclusi presenti a fronte di soli 318 posti disponibili, è uno dei 13 istituti in cui sono avvenuti i suicidi nei primi mesi del 2025 ma è tristemente noto anche per le 4 persone che si sono tolte la vita l’anno precedente. Come emerge dallo “Studio degli eventi suicidari e decessi negli istituti penitenziari” del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale aggiornato al 17 marzo 2025, in 10 istituti su 13 l’indice di sovraffollamento è superiore alla media nazionale con punte del 186% a Verona, 184% a Regina Coeli e 165% a Vigevano. La correlazione tra suicidi e condizioni di sovraffollamento negata dal Ministro Nordio è pertanto certificata dai numeri del report che, sulla base dei dati forniti dal DAP, analizza inoltre le sezioni in cui sono avvenuti i suicidi: “Va evidenziato che le sezioni interessate sono quelle a custodia chiusa con 13 eventi e 3 in sezione a custodia aperta”. Al di là delle motivazioni individuali del suicidio, bisogna andare alla ricerca di cause sistemiche. Guardando i dati del Garante nazionale appare evidente che celle chiuse e sovraffollamento siano la causa dell’aumento del disagio che troppo spesso porta al gesto estremo. Una questione ribadita con forza dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che nel tradizionale messaggio di fine anno ha sottolineato come l'alto numero di suicidi in carcere sia "indice di condizioni inammissibili".

“Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria da inizio del 2025 ha registrato complessivamente 65 decessi: 16 suicidi, 14 decessi per cause da accertare e 35 decessi per cause naturali” si legge ancora nel documento del Garante.  Senza dimenticare 378 tentati suicidi e 2.296 atti di autolesionismo che dovrebbero farci riflettere. Sarebbero invece 20 i suicidi dall’inizio dell’anno secondo i dati del dossier “Morire di carcere” di Ristretti Orizzonti e 48 i decessi per cause da accertare. Dietro al solito balletto dei numeri e alla poca trasparenza dell’amministrazione Penitenziaria ci sono vite interrotte, drammi individuali e familiari che colpiscono persone ristrette e affidate allo Stato.

Impiccamento, soffocamento. Corda rudimentale, lenzuolo, lacci, bomboletta del gas. Così si muore in carcere. Ma anche a causa di un sistema sanitario allo sfascio e per l’assenza di un adeguato numero di strutture sul territorio in grado di accogliere coloro che in carcere non dovrebbero starci. È necessaria, infatti, una riflessione su quelli che vengono definiti “decessi per cause naturali”. Tra loro troviamo persone con patologie che il carcere ha acutizzato, come nel caso di Patricia Nike, la donna deceduta al Pagliarelli di cui ci siamo occupati recentemente. Dal report del Garante nazionale scopriamo che a dicembre 2025 Patricia avrebbe finito di scontare la condanna: com’è possibile allora che non abbia potuto essere curata fuori dal carcere nonostante le mancassero pochi mesi per tornare libera? Ma non si tratta dell’unico caso. Delle 35 persone decedute per cause naturali, 7 avevano un fine pena entro il 2025 mentre 6 sarebbero uscite entro il 2026 e altre 3 entro il 2027. Perché non hanno potuto accedere a misure alternative? E cosa ci sarebbe di “naturale” nel decesso, avvenuto a gennaio a Rebibbia, di una persona affetta da HIV che avrebbe terminato di scontare la pena a giugno?

Il carcere è da rivoltare. “Di fronte alle inerzie annose e dolose di governi e parlamento nell’emanare le necessarie misure deflattive, come amnistie e indulti, forse dovremmo chiedere al Presidente della Repubblica di esercitare in maniera ampia e dispiegata il potere di grazia”, ha affermato Franco Corleone nel suo intervento al convegno per i 50 anni dell’ordinamento penitenziario. E ancora: “Nel governo c’è chi immagina i corpi speciali per fare prove di guerra civile in carcere, noi dobbiamo rispondere con i corpi di pace, nel nome dello stato di diritto. Dobbiamo, insomma, inventarci delle cose scandalose, nel senso etimologico di turbare le coscienze attraverso l’azione”. Un invito ad agire, rivolto soprattutto al mondo dell’associazionismo occupato quotidianamente in decine di incontri, seminari e convegni sul carcere. “Mi pare stravagante dare un’impressione di normalità di fronte alla strage quotidiana di vite e di diritti, alle urgenze e priorità che dovrebbe porci. Abbiamo una situazione terribile, ma fatichiamo a pensare azioni di opposizione e di resistenza all’altezza della sfida” conclude Corleone. E noi di Voci di dentro non possiamo che essere d’accordo.